Alle malattie cardiache il record di morti in Italia: 240 mila ogni anno
Le malattie cardiache sono la principale causa di morte in Italia, con 240 mila decessi ogni anno. E 7,5 milioni sono le persone in qualche modo coinvolte in problemi connessi. Più in dettaglio, ogni anno in Italia si registrano circa 150 mila infarti e oltre 1,5 milioni sono le ospedalizzazioni dovute a scompenso cardiaco. Di quest'ultimo vi sono oltre 600 mila diagnosi l’anno, ma il numero cresce fino a 3 milioni considerando le forme latenti: è la prima causa di ospedalizzazione in Italia e i pazienti arrivano a effettuare fino a 6-7 ricoveri all’anno, spesso con degenze di lunga durata. Inoltre, la mortalità è molto alta, interessando a distanza di 4-5 anni circa il 50% dei pazienti.
Tutti dati, questi, che insieme ad altri hanno spinto la Società italiana per la prevenzione cardiovascolare (Siprec) a promuovere giovedì 13 maggio la prima Giornata italiana per la prevenzione cardiovascolare.
La Giornata propone un’informazione sulle tematiche più rilevanti per la prevenzione cardiovascolare: lo stile di vita; i fattori di rischio; l’aderenza alle terapie; la lotta ai “nemici del cuore” (colesterolo, diabete, fumo, ipertensione, obesità, stress, età); le vaccinazioni; la telemedicina.
Le conseguenze del Covid-19. La pandemia ha avuto un effetto aggravante sotto diversi aspetti. «Il Covid ha effetti diretti sul sistema cardiovascolare» sottolinea Massimo Volpe, presidente Siprec: «Le alterazioni dell’endotelio, ossia il rivestimento delle pareti cardiovascolari, sono la causa delle trombosi che caratterizzano il Covid-19. In secondo luogo, sono proprio questi pazienti quelli ad aver pagato il dazio più alto al Sars-CoV-2, soprattutto quelli in età avanzata con comorbidità come ipertensione, diabete, obesità. A questo quadro clinico si aggiunge il sensibile peggioramento delle attività di prevenzione, che a livello cardiovascolare dovrebbe essere un pilastro del Ssn, visto che permette di ridurre sia i decessi che le ospedalizzazioni».
Nell’ultimo anno «è prevalsa la trascuratezza da parte dei pazienti per il timore di andare dal medico o in ospedale – ricorda Volpe - mentre da parte degli operatori sanitari invece vi è stata una minore capacità di accoglienza per la straordinaria mole di lavoro legata alla gestione del Covid. Come evidenziato in un lavoro pubblicato sull'European Heart Journal a maggio 2020, si evince una riduzione del 50% degli infarti in ospedale rispetto al corrispondente periodo del 2019, motivati solamente dal timore di recarsi nelle strutture. Inoltre, i fattori di rischio sono aumentati per gli stili di vita legati alle restrizioni: i continui lockdown hanno portato a un’alimentazione con un più elevato livello calorico, oltre che a una minore attività fisica. In aggiunta, spesso, sono anche state riprese cattive abitudini come il consumo di alcol o il fumo».