Un farmaco anti-Hiv per fermare l’Alzheimer (e non solo)

La scommessa

Un farmaco anti-Hiv per fermare l’Alzheimer (e non solo)

di redazione
Uno studio su Nature suggerisce che lamivudina, un farmaco antiretrovirale per il trattamento dell’Hiv/Aids, potrebbe bloccare l’infiammazione correlata all’invecchiamento all’origine di patologie croniche e di vari tipi di tumore. Gli esperimenti sui topi sono promettenti. Presto i test sull’uomo

“Farmaco antiretrovirale usato per trattare o prevenire l’Hiv/Aids”. La definizione della lamivudina non lascia dubbi: il farmaco serve per tenere sotto controllo l’infezione del virus dell’immunodeficienza umana. Ma, secondo un nuovo studio pubblicato su Nature, la molecola avrebbe altre inaspettate proprietà terapeutiche. E tra le malattie che potrebbe curare ce ne sono molte per le quali attualmente non esiste un rimedio: Alzheimer, in primis, e poi il diabete 2, il Parkinson, la degenerazione maculare, l’artrite e altre malattie legate all’invecchiamento. 

Insomma, ci troveremmo di fronte a una sorta di farmaco passepartout efficace soprattutto per molte malattie della Terza Età.

Ovviamente, le cose non stanno esattamente così e gli scienziati non si sono spinti a sostenere tanto.

Gli effetti positivi della lamivudina sulle patologie correlate all’età sono finora stati osservati sui topi. Ma, visto che il farmaco è già in commercio dagli anni Novanta e la sua sicurezza è già stata ampiamente testata, la sperimentazione sugli esseri umani potrebbe non tardare troppo a partire. 

L’idea dei ricercatori è quella di sfruttare una importante proprietà dell’antiretrovirale, ovvero la capacità di bloccare il processo infiammatorio associato all’invecchiamento all’origine di molte malattie croniche e di vari tipi di tumori. 

I risultati sugli animali sono promettenti. Nei topi di 26 mesi, un’età equivalente a circa 75 anni nell’uomo, sono bastate solamente due settimane di trattamento con lamivudina per ridurre l’infiammazione. 

E 6 mesi di terapia in topi di 20 mesi, pari a circa 60 anni umani, hanno  contribuito a mantenere la muscolatura sana e ridotto le lesioni renali. 

Lamivudina agisce bloccando l’attività dei retrotrasposoni delle cellule più vecchie. In estrema sintesi: i retrotrasposoni sono frammenti di Dna capaci di replicarsi autonomamente e cambiare posizione all’interno del genoma, e così facendo possono scatenare malattie. In condizioni normali, le cellule dell’organismo mettono in atto strategie di difesa per limitare i danni di questi “geni salterini”, ma con l’avanzare dell’età si riduce la capacità di controllo e i retrotrasposoni ne “approfittano” per replicarsi.

Il team di scienziati ha osservato che un particolare tipo di retrotrasposoni chiamati L1 si replicava nelle cellule umane invecchiate e nei topi anziani. 

È qui che entra in scena la lamivudina: i retrotrasposoni L1 hanno aspetti in comune al virus dell’Hiv. Per esempio anche loro per replicarsi hanno bisogno dell’azione di un enzima, la trascrittasi inversa, che, guarda caso, viene inibita dai farmaci antiretrovirali.

Perciò gli scienziati hanno immaginato quindi che un farmaco capace di tenere sotto controllo il virus dell’Hiv potesse anche impedire di replicarsi ai retrotrasposoni L1 che sono così simili al virus bloccando il processo infiammatorio. 

Così sono partiti gli esperimenti per individuare quale tra tutti i farmaci antiretrovirali in commercio funzionasse meglio per gli scopi della ricerca. E lamivudine ha superato i suoi sei concorrenti, dimostrando di poter ridurre notevolmente l’infiammazione nei topi. 

Ma non c’è da illudersi, non siamo di fronte all’elisir dell’eterna giovinezza, avvertono i ricercatori: «Con la lamivudina possiamo avere un effetto tangibile sull’infiammazione, ma non possiamo tornare alla normalità. Possiamo risolvere parte del problema, ma non abbiamo ancora compreso l'intero scenario dell’invecchiamento», ha dichiarato John Sedivy, professore di medicina e biologia alla Brown University e tra gli autori dello studio. 

I risultati sugli animali, comunque, invitano a proseguire le ricerche in questa direzione, non solo testando lamivudina sugli umani ma anche sviluppando altri farmaci inibitori della trascrittasi inversa specifici per i retrotrasposoni L1.