Un unico mandante dietro diverse malattie dello sviluppo cerebrale
Diversi geni, finora ritenuti responsabili di distinte patologie dello sviluppo cerebrale, fanno in realtà parte di un unico network molecolare all’interno del quale il gene KDM5C funziona da collegamento genetico.
È quanto hanno scoperto ricercatori dell’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati-Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igb) di Napoli coordinati da Maria Giuseppina Miano in uno studio pubblicato sulla rivista Human Molecular Genetics.
Lo studio, finanziato da Fondazione Telethon, apre ora la strada verso possibili nuovi approcci terapeutici.
Le malattie genetiche dello sviluppo del cervello, quali le encefalopatie epilettiche, le disabilità intellettive e i disturbi nello spettro autistico, sono un insieme di patologie diverse tra loro, che tuttavia condividono una serie di segni clinici comuni che vanno dai disturbi nell’apprendimento a quelli del comportamento.
Finora, salvo queste analogie, si era creduto che avessero cause completamente differenti l’una dall’altra.
I ricercatori del Cnr-Igb, ora, hanno invece identificato il filo rosso che le lega. Si tratta del gene KDM5C, che codifica un regolatore della condensazione della cromatina, complesso di proteine e Dna in cui è organizzato il genoma. Mutazioni a suo carico, sarebbero alla base di un ampio spettro di patologie neurologiche pediatriche, quali disabilità intellettiva, epilessia e autismo.
«Il nostro studio ha dimostrato che mutazioni in geni regolatori dell’espressione del gene KDM5C, anch’essi coinvolti in disturbi del neurosviluppo, innescano una serie di difetti a carico di geni che esercitano un ruolo chiave nella fase di maturazione del cervello», spiega Maria Giuseppina Miano. «Grazie a questa ricerca oggi sappiamo che diversi geni neuronali, finora ritenuti responsabili di patologie distinte, fanno parte di uno stesso network molecolare all’interno del quale il gene KDM5C funziona da collegamento genetico».
Ma la ricerca ha portato anche ad altri risultati. «Abbiamo dimostrato, attraverso l’utilizzo di modelli cellulari e animali, che KDM5C è una molecola “druggable”, che può cioè essere agganciata da un farmaco che ne corregge la ridotta espressione», prosegue la ricercatrice del Cnr-Igb. «Grazie alla collaborazione con il collega Elia Di Schiavi dell’Istituto di bioscienze e biorisorse (Cnr-Ibbr), è stato possibile “ricreare” il difetto a carico del gene KDM5C nel Caenorhabditis elegans, un piccolo animale invertebrato che, sebbene sia molto distante dall’uomo, possiede geni con una funzione simile. In particolare, siamo riusciti a dimostrare che utilizzando l’acido idrossamico suberoilanilide (Saha) è possibile correggere il ridotto dosaggio di KDM5C, recuperando così funzioni che sono alla base dei processi di maturazione di classi di neuroni danneggiati in molti disturbi del neurosviluppo».
Lo studio apre, dunque, nuove prospettive alla comprensione del malfunzionamento dei network genetici convergenti e consente, per la prima volta, di definire il ruolo di un marcatore-malattia adatto allo sviluppo di terapie di precisione dirette a colpire specifiche funzioni danneggiate.