Come non detto: il digiuno intermittente non è la svolta. Mangiando poco si dimagrisce di più

Contrordine

Come non detto: il digiuno intermittente non è la svolta. Mangiando poco si dimagrisce di più

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Immagine: Photo by Cats Coming / www.pexels.com
di redazione
Contrordine: per dimagrire la vecchia strategia del “mangiare poco” funziona meglio del digiuno intermittente. Così dice uno studio su 550 persone seguite per 6 anni. Il timing dei pasti non ha inciso sulla bilancia (ma manca la valutazione su altri parametri: insulina, colsterolo…)

Contrordine del contrordine. Si torna al punto di partenza. Per perdere peso viene nuovamente considerata vincente la vecchia strategia dietetica: mangiare meno e meno spesso.  Chi segue questo regime alimentare perde più chili rispetto a chi si affida al digiuno intermittente. Il “quanto” torna a essere più importante del “quando” se l’obiettivo è semplicemente dimagrire.  La rivincita della dieta tradizionale è stata annunciata sul Journal of the American Heart Association, sulla base di risultati di uno studio su 550 persone seguite per sei anni. Va precisato subito che lo studio si è concentrato esclusivamente sui chili persi e non su altri parametri metabolici (glicemia, insulina, grasso addominale, colesterolo ecc…). 

I ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine hanno raccolto per sei mesi i dati di una app creata per l’occasione, Daily24, dove i partecipanti inserivano informazioni sul loro stile di vita, indicando in particolare gli orari dei pasti e del sonno e, periodicamente su richiesta, il loro peso. Di tutti i volontari, dall’età media di 51 anni, erano noti il peso e l’altezza nei due anni precedenti all’inizio dello studio. In media l’indice di massa corporea era pari a 30,8, indicativo di obesità. 

Grazie ai dati registrati nella app, i ricercatori sono riusciti a risalire a una serie di informazioni chiave per valutare l’efficacia della dieta, tra cui l’intervallo di tempo trascorso tra il primo e l’ultimo pasto, tra il momento della sveglia e la prima colazione, tra l’ultimo pasto e l’ora del sonno. 

Ebbene, l’orario dei pasti non è stato associato a un cambiamento significativo di peso durante il periodo di follow-up di sei anni. Nessun parametro legato al tempo ha inciso sulla bilancia, né l’intervallo tra il primo e l’ultimo pasto, né il tempo intercorso tra il risveglio e il primo pasto, né quello tra l’ultimo pasto e l’addormentamento. Neanche la durata totale del sonno è stata associata a una variazione del peso.

Il “quanto” invece ha avuto un impatto più evidente. La frequenza dei pasti e la quantità di calorie assunte hanno inciso in misura significativamente maggiore sul peso rispetto agli orari dei pasti.

«Nonostante i modelli alimentari basati sul digiuno intermittente siano popolari e rigorosamente progettati, non è ancora chiaro se limitare la finestra alimentare totale durante il giorno aiuti a controllare il peso. Anche se studi precedenti hanno suggerito che il digiuno intermittente può migliorare del corpo e regolare il metabolismo, questo studio in un grande campione con una vasta gamma di pesi corporei non ha rilevato questo legame», dichiara Wendy L. Bennett docente di Medicina presso la Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora, a capo dello studio. 

Va precisato ulteriormente che lo studio non ha valutato gli effetti del digiuno intermittente su altri parametri metabolici, concentrandosi esclusivamente sulla perdita di peso. 

Sembrerebbe quindi restare valido, fino a prove contrarie, il beneficio dimostrato dal digiuno intermittente su altri fattori di rischio cardiovascolare, come la regolazione del glucosio, il grasso addominale, la resistenza all’insulina, la pressione arteriosa e il profilo lipidico.