I farmaci anti-obesità sono l'innovazione scientifica dell’anno
I farmaci anti-obesità sono l’innovazione scientifica dell’anno secondo Science. Vincono sul vaccino antimalaria, sull’intelligenza artificiale, sui progressi nella “caccia” all’idrogeno naturale, sulla scoperta di impronte umane nel Nuovo Messico di 5mila anni precedenti all’ipotizzato arrivo delle prime popolazioni in America. Vincono per due ragioni: perché sono estremamente efficaci nel far perdere peso a chi non riesce a dimagrire e perché impongono un rivoluzionario e probabilmente definitivo cambio di paradigma nei confronti di sovrappeso e obesità.
«Queste nuove terapie stanno rimodellando non solo il modo in cui viene trattata l’obesità, ma anche il modo in cui deve essere considerata: come una malattia cronica che affonda le sue radici nella biologia e non come un semplice fallimento della forza di volontà», si legge nell’articolo di Science.
La cura che non c’era
Gli agonisti del GLP-1, nati come antidiabetici e recentemente autorizzati per eliminare i chili di troppo (quando sono “troppo di troppo”), rendono finalmente credibile il messaggio lanciato da tante campagne di sensibilizzazione ideate per combattere lo stigma: l’obesità è una malattia e la forza di volontà non può essere la soluzione.
Il compito di spiegare la scelta di Science per la sua tradizionale classifica di fine anno intitolata “Breakthrough of the year” è stato affidato a Jennifer Couzin-Frankel, giornalista scientifica da tempo in forze alla prestigiosa rivista specializzata in ambito biomedico.
I rischi del sovrappeso, una condizione che colpisce il 70 per cento della popolazione americana e circa il 59 per cento di quella europea, sono ben noti. Il sovrappeso è l’anticamera dell’obesità, associata a un indice di massa corporea pari o superiore a 30, e l’obesità aumenta il rischio di diabete di tipo 2, di malattie cardiache, di artrite, di patologie del fegato e anche di cancro. Nonostante fosse chiara l’entità dei danni, la soluzione medica ha stentato ad arrivare.
A lungo ha prevalso l’idea che “chi è causa del suo mal pianga se stesso” e che il peso eccessivo dipendesse esclusivamente da scelte personali, da uno stile di vita scorretto, dalla mancanza di forza di volontà. In questo scenario la ricerca di una vera e propria terapia per il sovrappeso e l’obesità ha costantemente fallito.
Dalle pillole arcobaleno diffuse a partire dagli anni Quaranta, un mix di anfetamine e diuretici, indirizzate prevalentemente alle donne, si è passati negli anni Novanta al fen-phen, il farmaco con azione anoressizzante, poi ritirato dal mercato per i pesanti effetti collaterali sul cuore e sui polmoni. Dopo di che, poco o niente.
La svolta
La svolta è arrivata di recente con i farmaci oggi acclamati da Science che «stanno rimodellando la medicina, la cultura popolare e persino i mercati azionari globali in modi elettrizzanti e sconcertanti». Si tratta di molecole che mimano l’azione di un ormone dell’intestino chiamato glucagon-like peptide-1, Glp-1, che rallenta lo svuotamento gastrico, aumentando il senso di sazietà. Originariamente sviluppati come trattamento per il diabete, i farmaci appartenenti a questa classe non solo provocano una significativa perdita di peso ma riducono il rischio di ictus e infarto, come dimostrato in studi recenti.
Il primo farmaco modellato sul Glp-1, exenatide, entrato in commercio nel 2005 come trattamento per il diabete, conteneva al posto dell’ormone umano un peptide simile presente nel veleno di una specie di lucertola gigante.
Dopo circa cinque anni è stato sviluppato liraglutide di Novo Nordisk inizialmente autorizzato solo come farmaco antidiabetico ma successivamente, nel 2014, approvato dalla Food and Drug Administration per il trattamento dell’obesità.
Il vero game changer è stato semaglutide (sempre Novo Nordisk), autorizzato due anni fa negli Stati Uniti per il controllo del peso, che richiede un’iniezione settimanale rispetto a una o due quotidiane dei suoi predecessori. Ad accendere i riflettori sulla nuova molecola sono stati i risultati sorprendenti dello studio pubblicato sul New England Journal of Medicine: i partecipanti hanno perso il 15 per cento del loro peso corporeo in circa 16 mesi, un traguardo mai raggiunto in precedenza con altri trattamenti.
Da allora i farmaci analoghi di GLP-1 (più correttamente definiti “antagonisti del recettore del GLP-1) “vanno a ruba” tanto da creare periodicamente una carenza di scorte che procura difficoltà di approvvigionamento a chi li usa per il diabete, un fenomeno che ha sollevato polemiche sopratutto in Europa.
Solo negli Stati Uniti, l’1,7 per cento della popolazione adulta ha ricevuto una prescrizione di semaglutide.
I trial clinici continuano a mostrare i vantaggi ad ampio spettro del farmaco anti-obesità: allontana il rischio di scompenso cardiaco e riduce del 20 per cento la probabilità di infarto e ictus.
Può darsi che i farmaci anti-obesità non abbiano smesso di sorprendere. Si sta pensando di testarne l’efficacia per combattere le dipendenze da sostanze per la capacità di legarsi ai recettori del cervello legati al piacere, nel trattamento dell’Alzheimer e del Parkinson per l’azione antinfiammatoria sul cervello.
Le incognite
Come per tutti i farmaci, il monitoraggio nel mondo reale continua. E alcuni effetti collaterali segnalati hanno indotto le autorità di regolamentazione ad aggiornare il bugiardino. Tra le complicanze di Ozempic (semaglitude), per esempio, è recentemente comparso un potenziale rischio di ostruzione intestinale e di pancreatite.
C’è poi il sospetto che questi farmaci possano essere assunti da persone che non sono né in sovrappeso, né obese ma che abbiano semplicemente voglia di dimagrire. Inoltre non è ancora chiaro se la terapia debba durare tutta la vita e quali sarebbero le conseguenze della sua sospensione.
Le altre innovazioni biomediche del 2023
Science inserisce tra le dieci scoperte scientifiche dell’anno anche altre due innovazioni biomediche: il nuovo vaccino contro la malaria e i primi due farmaci che rallentano, anche si dopo, il declino cognitivo legato all’Alzheimer.
Approvato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il vaccino R21/MatrixM, è simile al precedente Mosquirix, ma può essere prodotto in modo più economico e in maggiori quantità. Sviluppato presso l’Università di Oxford, il vaccino è concesso in licenza al Serum Institute of India, uno dei principali produttori di vaccini. L’azienda afferma di poter produrre 100 milioni di dosi all’anno a un prezzo compreso tra 2 e 4 dollari a dose, meno della metà del prezzo di Mosquirix. I risultati è preliminari di uno studio di fase 3 che ha coinvolto 4.800 bambini in quattro paesi sono promettenti: il vaccino R21 nei primi 18 mesi è efficace almeno quanto il suo simile e forse un po’ più efficace, sebbene non siano stati effettuati confronti diretti tra i due vaccini. L’OMS afferma che l’R21 dovrebbe essere disponibile per un uso diffuso entro la metà del 2024.
I nuovi trattamenti contro l’Alzheimer, lecanemab e donanemab, son ben lontani da poter essere definiti una cura, ma lasciano intravedere qualche piccolo progresso verso la scoperta di una terapia. Il primo è un anticorpo monoclonale antiamiloide che ha rallentato la perdita di capacità cognitive del 27 per cento, rispetto al placebo. Il secondo ha rallentato il declino cognitivo fino al 35 per cento rispetto al placebo in una popolazione di pazienti leggermente diversa. Entrambe le terapie vengono somministrate per via endovenosa.