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Alopecia areata: non è solo una questione estetica
redazione
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L’alopecia areata è una malattia autoimmune imprevedibile e complessa, che colpisce indipendentemente dall’età o dal genere. Oltre alla perdita improvvisa dei capelli o su tutto il corpo, comporta un peso emotivo e psicologico profondo, che influenza l’autostima, le relazioni sociali e la qualità della vita.

In Italia ci convivono circa 120 mila persone che hanno poche opzioni di cure a cui affidarsi. Oggi, però, grazie alla ricerca e all’introduzione di nuove terapie, i pazienti possono contare su trattamenti efficaci per gestire la malattia. 

Per esempio, ritlecitinib, sviluppato da Pfizer, è il primo trattamento orale approvato per l’alopecia areata severa negli adulti e adolescenti di età pari o superiore a dodici anni, di cui si è parlato in un incontro a Bologna mercoledì 17 aprile.

«L’alopecia areata è una patologia autoimmune spesso sottovalutata – sostiene Bianca Maria Piraccini, professoressa di Dermatologia all'Università di Bologna – che può compromettere profondamente l’equilibrio psicologico e relazionale dei pazienti, soprattutto nei giovani. Ritlecitinib rappresenta un passo avanti nella gestione della malattia» e «agisce in modo mirato, modulando selettivamente l’infiammazione che aggredisce i follicoli piliferi, senza comprometterne la funzionalità. La possibilità di somministrazione quotidiana in un’unica compressa migliora non solo l’aderenza alla terapia – aggiunge Piraccini - ma anche l’esperienza complessiva del paziente, che oggi può contare su una prospettiva terapeutica solida e durevole nel tempo».

L’indicazione di ritlecitinib per il trattamento dell’alopecia areata severa è supportata dallo studio ALLEGRO, che ha coinvolto 718 pazienti con una perdita di capelli sul cuoio capelluto pari o superiore al 50% e ha confrontato l’efficacia di ritlecitinib rispetto al placebo. Dopo 24 settimane il 13% dei pazienti trattati si trovava vicino alla remissione con una copertura del cuoio capelluto superiore al 90%, mentre il 23% aveva una copertura superiore all’80%, rispetto all’1,6% dei pazienti nel gruppo placebo. Dopo 48 settimane, il 31% dei pazienti trattati con il farmaco si trovava vicino alla remissione. Anche lo studio ALLEGRO-LT, condotto per valutare la sicurezza e l’efficacia prolungata di ritlecitinib, ha dimostrato la sostenibilità del trattamento fino a 24 mesi.

L’alopecia areata non è considerata una malattia invalidante, ma le sue conseguenze sul piano psicologico ed emotivo possono essere molto importanti. La perdita improvvisa dei capelli può infatti generare ansia, depressione e un forte calo dell’autostima. Colpendo persone di tutte le età, inclusi bambini e adolescenti, questa condizione rende particolarmente difficile il percorso di accettazione della propria immagine. A pesare ulteriormente è la percezione sociale della malattia, che può portare a isolamento, difficoltà nelle relazioni quotidiane e, in alcuni casi, a episodi di discriminazione.

«Oggi sappiamo che l’alopecia areata non si limita alla perdita dei capelli – sottolinea Alfredo Rossi, professore di Dermatologia all’Università La Sapienza di Roma – ma ha un impatto profondo sulla vita sociale, emotiva e relazionale delle persone. È per questo che diventa essenziale adottare un approccio multidisciplinare, in cui il dermatologo sia il punto di partenza di un percorso che coinvolga anche il supporto psicologico e il medico di Medicina generale. Significa passare dalla cura della malattia alla cura della persona».

«A chi mi chiede cosa comporti davvero l’alopecia areata – interviene Claudia Cassia, presidente dell'Associazione italiana pazienti alopecia and friends (Aipaf) - rispondo così: non è solo una malattia visibile, è una condizione che cambia il modo in cui ci vediamo e in cui ci guardano. Perché la perdita dei capelli non è un fatto estetico, ma il segno visibile di un'aggressione del sistema immunitario contro il proprio corpo. Un’aggressione che colpisce profondamente anche la nostra identità». Quello che «fa ancora più male – aggiunge Cassia - è l’incomprensione. C’è chi parla di “capelli che ricrescono”. C’è chi dice che “tanto ci sono problemi ben peggiori”». L'Associazione non chiede «compassione, ma giustizia. Un accesso più equo alle cure, un’informazione chiara, il riconoscimento pieno di una malattia che cambia la vita. E chiediamo che la presa in carico sia reale, strutturata. Serve una rete di Centri competenti, capaci di accogliere e accompagnare il paziente. Anche un solo giorno a settimana, nei reparti di dermatologia, la presenza di uno specialista esperto in tricologia farebbe una differenza enorme. Una diagnosi corretta, un supporto mirato, una terapia adeguata possono cambiare la traiettoria della nostra storia». Perché «la battaglia contro l’alopecia areata – spiega Cassia - non è solo clinica, è anche culturale. Dobbiamo abbattere lo stigma, combattere la disinformazione, ridare dignità a chi soffre. Perché dietro la caduta dei capelli si nasconde molto di più: la perdita della propria identità, del proprio ruolo sociale, della libertà di essere sé stessi».

«Riteniamo fondamentale che l’innovazione terapeutica impatti positivamente la qualità di vita delle persone» assicura infine Barbara Capaccetti, direttrice medica di Pfizer in Italia. «In dermatologia siamo impegnati in una stretta collaborazione con la comunità scientifica – aggiunge - proprio per sviluppare soluzioni efficaci ai bisogni ancora insoddisfatti dei pazienti. Non solo con terapie innovative, ma anche con la definizione di percorsi di cura sempre più personalizzati, accessibili e integrati, che valorizzino l’ascolto e l’esperienza di chi vive la malattia».

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