Decreto anziani: 14 milioni di persone in attesa del provvedimento ma non ci sono risorse aggiuntive
Per 14 milioni di italiani, i bisogni sanitari non posso essere disgiunti da quelli sociali. Stiamo parlando delle persone anziane per le quali i problemi di salute si sommano alle difficoltà economiche conseguenza inevitabile della perdita di autonomia.
A loro è destinato il cosiddetto “Decreto Anziani” (“Schema di decreto legislativo recante politiche in favore delle persone anziane”) predisposto dal Governo.
La Fondazione Gimbe ha analizzato nel dettaglio le misure previste nel documento, mettendone in evidenza i nodi critici. Il più evidente è che mancano risorse aggiuntive.
Nel dettaglio, spiega Gimbe, per 13 misure si fa riferimento a risorse già stanziate: PNRR Missione 5 e Missione 6, Fabbisogno Sanitario Nazionale, Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, Fondo per la non autosufficienza, Fondo per la promozione dell’attività sportiva, Fondo per le politiche della famiglia, Ministero della Salute.
Un finanziamento apparentemente aggiuntivo di 250 milioni di euro per il 2025 e di 250 milioni di euro per il 2026 è previsto solo per la misura “assegno di assistenza”, che sarà destinato all’acquisto di servizi o contratti: badanti, caregiver, strutture per la presa in cura dell’anziano. «Tuttavia dei complessivi 500 milioni stanziati 150 milioni provengono dalla riduzione del Fondo per le non autosufficienze, 250 milioni sono a valere sul Programma nazionale “Inclusione e lotta alla povertà 2021-2027” e 100 milioni a valere sulle disponibilità della Missione 5 del PNRR. In altri termini anche l’assegno di assistenza di fatto viene finanziato con risorse già stanziate su altri capitoli di spesa pubblica», ha commentato Nino Cartabellotta presidente di Fondazione Gimbe.
Per tutte le altre misure non sono previsti maggiori oneri per la finanza pubblica.
«Sebbene formalmente inseriti nei Livelli Essenziali di Assistenza le prestazioni di assistenza socio-sanitaria, residenziale, semi-residenziale, domiciliare e territoriale sono finanziate solo in parte dalla spesa sanitaria pubblica. Un’esigua parte viene erogata dai Comuni (in denaro o in natura), mentre la maggior parte è sostenuta tramite provvidenze in denaro erogate dall’INPS», spiega Cartabellotta.
In dettaglio nel 2022, anno più recente per il quale sono disponibili tutti i dati, alla spesa socio-sanitaria è stato destinato un totale di 44.873,6 milioni di euro, «una cifra totale sulla cui precisione pesano vari fattori: differenti fonti informative con variabile livello di precisione e accuratezza, possibile sovrapposizione degli importi provenienti da fonti differenti», commenta Cartabellotta.
In dettaglio, le prestazioni di assistenza sanitaria a lungo termine (Long Term Care) hanno assorbito una spesa sanitaria di 16.897 milioni di euro, di cui 12.834 milioni (76%) finanziati con la spesa pubblica, 3.953 milioni (23,4%) a carico delle famiglie e 110 milioni (0,7%) di spesa intermediata.
L’INPS ha erogato complessivamente 25.332,4 milioni di euro, di cui 14.500 milioni di indennità di accompagnamento, 3.900 milioni di pensioni di invalidità civile, 3.300 milioni di pensioni di invalidità e 2.432,4 milioni per permessi retribuiti secondo L. 104/92.
I comuni hanno erogato 1.822,2 milioni di euro, di cui 1.200 milioni in denaro e 622,2 milioni in natura.
Il Fondo nazionale per le non-autosufficienze nel 2022 era pari a 822 milioni di euro.
Restano considerevoli diseguaglianze regionali nell’accesso ai servizi socio-sanitari. A fronte di una media nazionale di 40,2 persone non autosufficienti di età superiore ai 75 anni in trattamento socio-sanitario residenziale per 1.000 abitanti esistono notevoli differenze tra Regioni: da 144,6 persone per 1.000 abitanti nella Provincia autonoma di Trento ai 4,1 nella Campania. In generale, tutte le regioni del Sud si trovano fondo classifica e nessuna regione supera i 20 assistiti per 1.000 abitanti. «Ovviamente questo dato è condizionato al ribasso dalla disponibilità di altre forme di assistenza per le persone non autosufficienti, in particolare l’assistenza domiciliare integrata», – commenta Cartabellotta.
Un’ampia variabilità regionale si osserva anche nelle cure palliative. L’indicatore definisce il rapporto tra il numero di deceduti per tumore assistiti dalla rete di cure palliative sul totale dei deceduti per tumore. A fronte di una media nazionale del 28,4 per cento la variabilità regionale oscilla dai 56,2 per cento del Veneto ai 4,5 per cento della Calabria. «Su questo indicatore va segnalato che, secondo i parametri definiti dal Ministero, solo 5 Regioni risultano adempienti: Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Toscana e Veneto», commenta Cartabellotta.
«Considerato che il Decreto anziani fa riferimento ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e ai Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS) – ha chiosato il Presidente – diventa inderogabile la necessità di colmare inaccettabili divari tra Regioni, in particolare tra il Nord e il Sud del Paese, che saranno inevitabilmente acuiti dall’autonomia differenziata. Diseguaglianze che oggi ledono i diritti civili e la dignità delle persone più deboli e più fragili del Paese. L’assenza di finanziamenti dedicati ai vari interventi fanno, al momento, del Decreto anziani un’eccellente ricognizione di tutte le misure di cui possono beneficiare le persone anziane, ma la cui attuazione è fortemente condizionata, oltre che dall’emanazione di numerosi decreti attuativi, dalle risorse e dalle rilevanti diseguaglianze Regionali».