Liste d’attesa, il dl è legge. Primo passo: capirci qualcosa
Alla fine, con l’ok alla Camera con 171 sì e 122, il decreto sulle liste d’attesa è stato convertito in legge. Cup unico regionale per le prenotazioni, visite il sabato e la domenica, incentivi ai sanitari impegnati nello smaltimento delle liste d’attesa.
Resta ora da capire il suo reale impatto sul fenomeno.
Per il Governo sarà una svolta: «Dopo aver portato il fondo sanitario al suo livello più alto di sempre, compiamo oggi ulteriori passi avanti per garantire il diritto alla salute dei cittadini. Siamo consapevoli che c'è ancora molto da fare, ma siamo convinti che la direzione intrapresa per costruire una sanità più efficiente e più vicina ai bisogni dei cittadini sia quella giusta», ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
E il ministro della Salute Orazio Schillaci: «Dopo anni di inerzia, questo Governo interviene in maniera strutturale con misure che affrontano tutti i fattori che hanno contribuito a un aumento intollerabile delle liste d’attesa».
Per l’opposizione è solo un’operazione di facciata. «Avete tirato fuori questo decreto fuffa a 4 giorni dalle elezioni ma chi pensate di prendere in giro? Non si possono abbattere le liste d'attesa senza mettere un euro e assumere personale", ha affermato la segretaria del Pd, Elly Schlein.
Le risorse sono infatti il nodo maggiore del provvedimento. Quelle economiche, così come quelle umane.
In realtà uno dei nodi maggiori è conoscere l’entità del fenomeno. A oggi non è chiaro se le difficoltà riferite dai cittadini rispondano a casi limite o se siano un male che affligge l’interno sistema. L’istituzione presso l'Agenas di una piattaforma nazionale per le liste d'attesa per monitorare i tempi di erogazione delle prestazioni potrebbe sopperire a questa criticità.
Intanto Cittadinanzattiva ha pubblicato i dati di un’indagine da cui emergono tre tendenze: i dati sono una babele in cui è difficile districarsi; le lunghe attese per visite ed esami esistono a Nord come al Sud; anche nella stessa Regione e perfino nella medesima Asl un cittadino può ritrovarsi ad affrontare un’attesa infinita o ricevere una visita in tempi da record. Infine, il quarto dato che fa poca notizia è che in moltissime delle realtà italiane i tempi vengono rispettati o si sfora di poco.
I numeri si riferiscono a giugno (o a maggio), quindi i dati potrebbero fotografare anomalie temporanee e non riflettere la situazione strutturale della Regione o della Asl. Inoltre, sono stati analizzati solo sei prestazioni campione, quindi non è chiaro se si possano generalizzare all’intera offerta sanitaria.
In generale, dall’indagine emerge che le difficoltà nel rispetto delle tempistiche si riscontrano al Nord così come a Sud. In Friuli Venezia Giulia quasi tutte le prestazioni oggetto di indagine, a maggio, sono state erogate oltre i giorni previsti. Al contrario, in Veneto i tempi vengono rispettati per tutte le prestazioni e tutte le priorità. Bene anche la Calabria, anche se Cittadinanzattiva ritiene che siano necessarie ulteriori indagini su questa Regione.
Tra i casi limite, quello dell’Azienda Universitaria Friuli Centrale, dove si attendono in media 498 giorni per un’ecografia addome e 394 giorni per una visita ginecologica programmabile; nell’Azienda Sanitaria 3 Ligure, invece, si aspettano in media 427 i giorni per una visita cardiologica programmabile.
Dati negativi anche per la Asl di Bari che riesce a erogare entro i 10 giorni solo il 9% delle visite pneumologiche con codice B; la Asl Napoli 1 Centro rispetta i tempi in appena il 14% delle visite oncologiche in codice B; la Asl RM4 rispetta i tempi soltanto per il 17,8% delle ecografie all’addome in classe B. C’è poi il Molise, dove si garantisce nei 60 giorni della classe D solo il 34% delle ecografie addome, mentre nelle Marche solo il 41% delle mammografie programmabili.
Problematica la qualità dei dati: «Dal Sud al Nord è una Babele di dati e modalità di aggiornamento delle piattaforme online con cui le Regioni dovrebbero fornire un quadro della situazione in tempo pressoché reale», scrive Cittadinanzattiva. Ciò «rende difficile il confronto spesso anche all’interno dello stesso territorio».
«Questa nostra indagine conferma ancora una volta un quadro di estrema disomogeneità nelle modalità e nelle tempistiche con le quali le Regioni e le singole Asl restituiscono i dati sulle liste di attesa nel loro territorio», afferma la segretaria generale di Cittadinanzattiva Anna Lisa Mandorino. «Una criticità che il decreto in via di approvazione definitiva ci auguriamo possa contribuire a risolvere. È soltanto attraverso una fotografia reale, tempestiva e uniforme dei tempi di attesa che enti locali e Governo centrale possono intervenire, laddove necessario, per ripristinare e garantire a tutti i cittadini l’accesso ai servizi sanitari».