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Liste d’attesa: dopo quasi un anno manca metà dei decreti attuativi previsti dalla legge
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    Immagine: Jorge Barrios Riquelme, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
redazione
Gimbe, «Problema è la capacità del Ssn di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute»

Nel 2024 quasi 6 milioni di persone in Italia hanno rinunciato a prestazioni sanitarie, 4 milioni delle quali per i lunghi tempi di attesa, il 51% in più rispetto al 2023.

A un anno dalla pubblicazione del decreto 73/24 “Liste d’attesa” (poi convertito nella legge 178/24), la Fondazione Gimbe ha condotto un’analisi sullo stato di attuazione della norma, «con l’obiettivo di informare in maniera costruttiva il dibattito pubblico e politico e di ridurre le aspettative irrealistiche dei cittadini, sempre più intrappolati nella rete delle liste di attesa. Tracciando un confine netto tra realtà e propaganda».

Secondo quanto riportato dal Dipartimento per il Programma di Governo, al 10 giugno 2025 dei sei decreti attuativi previsti dal decreto 73/24 solo tre sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Dei rimanenti, uno è scaduto da oltre nove mesi e due non hanno una scadenza definita. Insomma, sostiene il presidente della Fondazione Gimbe, «il carattere di urgenza del provvedimento si è rivelato incompatibile con un numero così elevato di decreti attuativi, alcuni tecnicamente complessi, altri politicamente scottanti».

Nel question time del 5 novembre 2024 in Parlamento, ricorda la Fondazione, il ministro Schillaci aveva annunciato che da febbraio 2025 sarebbe stato disponibile il “cruscotto” nazionale con gli indicatori di monitoraggio delle liste d’attesa, completo dei dati di tutte le Regioni e Province autonome. Nei fatti, però, il decreto sulla piattaforma è approdato in Conferenza Stato-Regioni solo il 18 dicembre 2024, l’intesa è stata siglata il 13 febbraio 2025 e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è slittata all’11 aprile. Da quella data le Regioni hanno avuto 60 giorni (raddoppiati rispetto ai 30 inizialmente previsti) per presentare i progetti necessari a garantire la “comunicazione” tra le proprie piattaforme e quella nazionale. Proprio il 10 giugno, chiosa Cartabellotta, «sono scaduti i 60 giorni, ma i tempi per rendere pubblicamente accessibili i dati di tutte le Regioni sulla piattaforma nazionale restano del tutto imprevedibili». 

Una realtà, sostiene Gimbe, «che stride con quanto dichiarato dalla presidente Meloni nel question time alla Camera del 14 maggio: “La piattaforma nazionale è operativa, e ci dice che nelle Regioni dove ci sono questi strumenti aumentano il numero di visite ed esami per i cittadini e calano i tempi d’attesa». Ma «a oggi – osserva Cartabellotta - non esiste alcun dataset pubblico che documenti una riduzione dei tempi di attesa. Qualsiasi valutazione sull’efficacia del decreto potrà essere condotta solo quando i dati saranno resi accessibili in modo trasparente».

Il decreto attuativo sull’esercizio dei poteri sostitutivi, peraltro, «ha acceso un duro scontro istituzionale tra Governo e Regioni – osserva Gimbe - che si è consumato in due mesi di missive ufficiali con accuse incrociate e rivendicazioni. Il clima sembra essersi disteso dopo il confronto del 22 maggio tra la presidente Meloni e il presidente Fedriga, che il 28 maggio ha incontrato il ministro Schillaci per finalizzare il testo del decreto».  Tuttavia, «al di là delle dichiarazioni pubbliche di ritrovata sintonia istituzionale – commenta Cartabellotta – al 10 giugno non risulta ancora raggiunta l’intesa tra Governo e Regioni sul decreto attuativo». Soprattutto, continua il presidente Gimbe, «amareggia constatare che, su un tema che lede un diritto costituzionale, lo scontro frontale abbia preso il sopravvento sulla “leale collaborazione” tra Stato e Regioni, rendendo evanescente il supremo principio di “Repubblica che tutela la salute”. Nel frattempo, milioni di persone continuano ad attendere. O peggio, rinunciano alle prestazioni sanitarie».

Se tra il 2022 e il 2023 l’aumento delle rinunce alle prestazioni era dovuto soprattutto a motivazioni economiche, ricorda Cartabellotta, tra il 2023 e il 2024 «l’impennata è stata trainata in larga misura dalle lunghe liste di attesa»: le rinunce legate ai tempi d’attesa sono cresciute del 7,1% tra il 2022 e il 2023 e del 51% tra il 2023 e il 2024; quelle per ragioni economiche, invece, sono aumentate del 31,2% tra 2022 e 2023 e del 26,1% tra 2023 e 2024. 

«Il vero problema – avverte Cartabellotta – non è più, o almeno non è soltanto, il portafoglio dei cittadini, ma la capacità del Ssn di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute».

Per il presidente Gimbe, le liste d’attesa non sono «una criticità da risolvere a colpi di decreti: sono il sintomo del grave indebolimento del Ssn, che richiede investimenti consistenti sul personale sanitario, coraggiose riforme organizzative, una completa trasformazione digitale e misure concrete per arginare la domanda inappropriata di prestazioni sanitarie. Dedicarsi ad alleviare il “sintomo”, piuttosto che risolvere “la grave malattia” che distrugge il Ssn equivale a somministrare a un paziente oncologico cure sintomatiche, anziché una terapia radicale. Così il decreto “Liste di attesa” rischia di restare solo una promessa mancata. E milioni di cittadini e pazienti continuano a rinunciare alle prestazioni, sperimentando una silenziosa ma concreta esclusione dai diritti. Un’esclusione che ha gravi conseguenze sulla salute individuale e collettiva – conclude Cartabellotta - e che tradisce l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del nostro Ssn».


 

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