Migrazioni sanitarie: negli ultimi trent'anni un paziente oncologico pediatrico su cinque ha cercato cure fuori Regione
Negli ultimi trent'anni, un giovane paziente oncologico su cinque ha dovuto cambiare Regione per sottoporsi alle cure antitumorali.
È la media che risulta dall'indagine realizzata dall'Associazione italiana ematologia e oncologia pediatrica (Aieop) sui dati raccolti dai 49 Centri coordinati dalla stessa Associazione, cioè 41.205 pazienti con età compresa tra zero e venti anni al momento della diagnosi registrati tra il 1988 e il 2017.
Nell'arco temporale considerato, peraltro, il trend risulta in diminuzione: nel decennio 1988-1997, infatti, la migrazione sanitaria si attestava attorno al 23,3%, mentre tra il 2008 e il 2017 il dato è sceso al 16,4%. Lo studio, recentemente pubblicato sull’Italian Journal of Pediatrics, ha messo in risalto come la migrazione sanitaria abbia coinvolto maggiormente pazienti affetti da tumori solidi rispetto a quelli affetti da leucemie e linfomi. I flussi più corposi di migrazione hanno origine dal Sud e dalle Isole più che dal Centro e dal Nord, con Regioni virtuose che sono scese sotto la soglia del 10% e Regioni nelle quali invece si registra ancora una migrazione per oltre il 60% dei casi.
Rispetto all’impatto della migrazione sanitaria sulle possibilità di guarigione, lo studio ha documentato come i pazienti che migrano fuori Regione abbiano una sopravvivenza complessiva a dieci anni dalla diagnosi del 69,9% rispetto a quelli che sono curati in Centri a pochi chilometri da casa, nei quali la sopravvivenza si attesta attorno al 78,3%. Questo dato grezzo, contestualizzato rispetto a patologie ad alta complessità che richiedano centri specializzati e un approccio multidisciplinare, risulta invertito.
«La migrazione sanitaria in onco-ematologia pediatrica – spiega Arcangelo Prete, presidente dell'Aieop - è un fenomeno ancora presente in Italia, nonostante esista una rete che copre pressoché tutto il territorio nazionale. Non è tuttavia un fenomeno da demonizzare. Semplicemente le patologie che trattiamo sono molto rare e, per tale motivo, i pazienti necessitano di Centri di alta specializzazione. Il ruolo della rete e dei Centri regionali è quello di provvedere al corretto inquadramento dei pazienti e di valutare quali siano le situazioni che necessitino di essere prese in carico da Centri con differente specializzazione extra regione. Il dato della differente mortalità, infatti, potrebbe essere correlato a un riferimento più tardivo dei pazienti verso Centri specializzati o a situazioni di malattia avanzate già alla diagnosi. Stiamo lavorando per comprendere appieno questo fenomeno con l’unico obiettivo di garantire in Italia le cure migliori per i nostri pazienti» assicura infine Prete.