Con l’immunoterapia 4.0 opzioni di cura per l’80% dei pazienti oncologici

Tumori

Con l’immunoterapia 4.0 opzioni di cura per l’80% dei pazienti oncologici

di redazione

Dopo gli inibitori dei checkpoint immunitari, le CAR-T e la recente introduzione in via sperimentale dei vaccini a mRNA, stiamo per entrare nell’era dell’Immunoterapia 4.0. Terapie cellulari (TILs) contro il melanoma metastatico, “avatar” di tumori al polmone e nuove combinazioni di farmaci per i tumori gastrici renderanno possibile l’immunoterapia di precisione, aumentando la percentuale di pazienti che rispondono alle terapie dall’attuale 50% all’80%. 

A raccogliere la sfida sono gli specialisti della Società campana di immunoterapia oncologica (Scito), in occasione del meeting annuale in corso a Napoli.

«Negli ultimi anni abbiamo assistito alla crescita esponenziale di ricerche innovative che hanno approfondito la comprensione dell’immuno-oncologia e permesso lo sviluppo di nuovi trattamenti in grado di sfruttare il sistema immunitario del paziente e prevenirne la fuga immunitaria» spiega Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto tumori Pascale” di Napoli. 

Il melanoma. La sfida lanciata dagli specialisti Scito prende il via dalla recentissima approvazione dalla Food and Drug Administratio (FDA) statunitense della prima terapia cellulare TILs (tumour-infiltrating lymphocyte), chiamata lifileucel, per il trattamento del melanoma metastatico resistente a tutte le possibili terapie oggi disponibili. «Entro la fine della prossima estate il Pascale partirà con lo studio di fase 3, l'ultimo step prima dell'approvazione da parte delle Agenzie di regolamentazione, di lifileucel per valutare la sicurezza e l'efficacia della terapia in combinazione con pembrolizumab».annuncia Ascierto. La nuova terapia cellulare consiste nell’estrarre le cellule immunitarie del paziente che stanno combattendo il tumore, moltiplicarle in laboratorio e iniettarle nuovamente sperando che questo “esercito rinforzato” possa controllare la malattia. 

L'approvazione della FDA si basa su un trial clinico che ha visto la partecipazione di 76 persone in cui si erano esaurite tutte le opzioni di trattamento possibili. L’81% ne ha tratto beneficio. In particolare, il 31% ha mostrato una significativa risposta e tra questi, oltre la metà ha mantenuto una progressione libera da malattia, ovvero il tempo che intercorre tra il trattamento e la ripresa della malattia, per almeno sei mesi dopo; il 47,8% ha mantenuto la risposta positiva per almeno nove mesi; il 43,5% ha continuato a non mostrare progressione del tumore per almeno un anno e il 42% oltre i 18 mesi.

Il tumore del polmone. All'Azienda Ospedaliera San Giuseppe Moscati di Avellino partiranno entro l’anno studi con modelli sperimentali personalizzati per il tumore al polmone, che consentiranno di valutare l’efficacia di singoli farmaci a bersaglio molecolare e gli effetti degli immunoterapici e del “microambiente tumorale”, in ogni singolo caso. «Abbiamo la possibilità di creare organoidi  a partire da campioni di tumore prelevati mediante una biopsia sui pazienti in modo da avere veri e propri “avatar” della malattia su cui provare e valutare diverse opzioni terapeutiche in modo da arrivare a quella più adatta ad ogni singolo caso» spiega Cesare Gridelli, direttore del Dipartimento di Onco-ematologia dell'Azienda Moscati di Avellino.

I tumori gastrointestinali. Uno studio recentemente concluso al Pascale su 22 pazienti con tumore del colon localmente avanzato conferma l’efficacia dell'immunoterapia neoadiuvante, ovvero quella somministrata prima dell’intervento chirurgico. «Si tratta di pazienti con tumore con instabilità dei microsatelliti, presente in circa il 10-15% delle neoplasie localmente avanzate del colon e dello stomaco, che hanno avuto la scomparsa o quasi della malattia» sottolinea Antonio Avallone, direttore dell'Oncologia clinica sperimentale addome del Pascale di Napoli. «Risultati simili – aggiunge - sono stati riportati anche nei casi di tumore del retto. Questi dati, se confermati con studi più ampi, potrebbero risparmiare al paziente il bisturi e la radioterapia, con conseguente miglioramento della qualità della vita».