Linfoma, terapia CAR-T più sicura grazie a PET cerebrale: consentirà di individuare i pazienti a rischio di gravi effetti collaterali  

Lo studio

Linfoma, terapia CAR-T più sicura grazie a PET cerebrale: consentirà di individuare i pazienti a rischio di gravi effetti collaterali  

di redazione

Cinque minuti in più possono fare la differenza. Prolungare la durata della PET total body, esame di routine per i pazienti oncologici con linfoma a grandi cellule B, di soli 5 minuti può servire a individuare i pazienti sottoposti alla terapia Car-T a rischio di gravi effetti collaterali.  

Per la prima volta un gruppo di ricercatori dell'IRCSS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, ha individuato un possibile biomarcatore prognostico delle due più comuni e gravi complicanze della terapia CAR-T, la sindrome da rilascio di citochine (CRS) e la neurotossicità CAR-T correlata (ICANS), che colpiscono la maggior parte dei pazienti trattati, con esiti a volte fatali. 

Lo studio ha coinvolto 21 pazienti con linfoma a grandi cellule B e sottoposti alla terapia CAR-T, di cui 16 hanno sviluppato la sindrome da rilascio di citochine, che in 5 casi è stata seguita dalla comparsa di neurotossicità CAR-T correlata. I ricercatori hanno messo a confronto le PET cerebrali dei pazienti, utilizzando specifici algoritmi, e hanno scoperto la presenza di tracce indicative della condizione di sofferenza metabolica, detta ipometabolismo, nei pazienti con sindrome da rilascio di citochine e neurotossicità CAR-T correlata. 

«All’esame PET total body abbiamo associato a una scansione dedicata all’acquisizione cerebrale e con un software abbiamo valutato il metabolismo del cervello.  Dal confronto con pazienti affetti da sindrome da rilascio di citochine e pazienti che non avevano sviluppato complicanze, è emerso che i pazienti con neurotossicità da CAR-T avevano aree di sofferenza metabolica molto più estese rispetto a quelle senza CRS e maggiormente localizzate in corrispondenza della corteccia frontale», sottolinea Silvia Morbelli, coautrice dello studio, dirigente medico ricercatore dell’Unità di Medicina Nucleare dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e professore associato di Medicina nucleare all’Università di Genova

Il nuovo biomarcatore permette ai medici di prevedere quali pazienti sono più a rischio di complicanze per poter eventualmente scegliere il trattamento alternativo più adatto.  

«L’individuazione di questa firma è preziosissima perché ci consente potenzialmente di selezionare in modo più efficace i pazienti per cui la terapia CAR-T presenta maggiori rischi di neurotossicita’. E se confermata in successivi studi potrà servire da biomarcatore precoce e prognostico», ribadisce Morbelli.