Malattie renali: qualcuno può liberarsi dalla dialisi?
Globuli bianchi alle stelle, una diagnosi di leucemia mieloide acuta, ricovero d’urgenza, chemioterapia e dopo un mese un danno ai reni che sembra comprometterne gravemente la funzionalità. Per farla breve: 51 giorni di terapia intensiva, due interventi chirurgici e poi la dialisi tre volte a settimana, con la prospettiva di proseguirla a lungo, molto a lungo. La storia di Melissa Lawson, una donna americana di 36 anni, ha un lieto fine: contrariamente alle previsioni, la paziente con danno renale acuto ha potuto interrompere la dialisi senza conseguenze negative per la salute.
Il portale Statnews ha deciso di dedicare ampio spazio a questa vicenda perché quello che è accaduto a Melissa Lawson potrebbe accadere ad altre persone nelle stesse condizioni. La possibilità per chi ha subito un danno renale acuto di svincolarsi dalla dialisi a vita esiste ma si concretizza raramente, come dimostra uno studio appena pubblicato sul Journal of the American Society of Nephrology che ha coinvolto circa 8mila pazienti, 2mila dei quali avevano un danno renale acuto. Ebbene, il 40 per cento dei pazienti appartenenti a questo secondo gruppo aveva recuperato la funzionalità dei reni dopo un periodo di dialisi ma solo il 18 per cento aveva modificato il piano terapeutico riducendo il numero o la durata delle sessioni.
Più del 70 per cento di questi pazienti arrivava a interrompere la dialisi senza passare per una fase di riduzione graduale, suggerendo quindi che in moltissimi casi la dialisi viene prolungata oltre il necessario rischiando di trasformarsi in un sovratrattamento con un conseguente aumento del rischio di effetti collaterali come infezioni e danni cardiaci. Secondo i dati dello studio, i pazienti con danno renale acuto che potrebbero avere buone possibilità di interrompere la dialisi (e che costituiscono tra il 15 e il 20% dei nuovi pazienti in dialisi) alla fine perdono questa opportunità perché vengono trattati per lo più allo stesso modo dei pazienti con malattia renale allo stadio terminale che non hanno alcuna speranza di liberarsi dalla dialisi a meno che non si sottopongano a un trapianto di rene.
Il nuovo studio, che per certi aspetti somiglia a un’inchiesta giornalistica, non invita a stravolgere i protocolli, ma mette in luce una certa inerzia del sistema che si traduce banalmente nel prolungare una terapia senza valutare la possibilità di interromperla o modificarla.
Uno dei nodi critici emersi dall’indagine, già annunciato nel titolo “Initial Management and Potential Opportunities to Deprescribe Dialysis Among AKI-D Patients after Hospital Discharge”, è la mancanza di monitoraggi periodici sui pazienti con danno renale acuto nelle prime fasi della dialisi. Per esempio, solamente un quarto dei pazienti viene sottoposto a esami delle urine durante il primo mese di trattamento. I dati riguardano gli Stati Uniti, ma situazioni analoghe potrebbero esistere in altri Paesi.
«Penso che ci siano persone che potremmo staccare dalla dialisi se ci si impegna. Per queste persone, si tratta di un enorme miglioramento della qualità vita», ha dichiarato Chi-yuan Hsu, a capo dello studio.
Ovviamente la decisione di interrompere la dialisi deve essere valutata attentamente dal medico. I rischi sono altissimi. Si possono accumulare fluidi nei polmoni e se gli elettroliti e il potassio scendono si possono avere aritmie cardiache. Ma, d’altra parte, anche prolungare la dialisi oltre il necessario può dare problemi. Quando è il caso di fermarsi?
Secondo Paul Palevsky, professore di medicina alla University of Pittsburgh School of Medicine che ha condotto trial clinici su pazienti con danno renale acuto il momento giusto per passare a una terapia alternativa non è facilmente individuabile. Non esistono dati affidabili su cui poter basare le scelte e probabilmente non esisteranno mai perché ogni paziente è un caso a parte ed è impossibile applicare un approccio uniforme. In sostanza, nessuno può pretendere ora come ora una rivoluzione nell’uso della dialisi. E non è questo che chiede Hsu nonostante la sua apprezzabile casistica di pazienti che hanno potuto lasciare la dialisi, tra cui la stessa Melissa Lawson. Hsu chiede però che la ricerca non si fermi e che vengano raccolti più dati sui pazienti con danno renale acuto e sulle conseguenze della dialisi o della sua interruzione.