Circa un italiano su quattro soffre di reflusso gastroesofageo e di questi il 40% non risponde alla terapia farmacologica d’elezione con i farmaci inibitori della pompa protonica. Tra i sintomi più noti ci sono bruciore, dolore toracico, rigurgiti e tosse, e il reflusso cronico può provocare gravi danni all‘esofago, infiammazioni, ulcerazioni e alterazioni precancerose dei tessuti. Un innovativo dispositivo e la relativa tecnica chirurgica mini-invasiva sono state presentate di recente all’Istituto di Gastroenterologia “Saverio de Bellis” di Castellana Grotte, in Puglia, dove specialisti da tutta Italia si sono riuniti per discutere dei più recenti progressi in ambito chirurgico e gastrointestinale.
«Questo nuovo dispositivo – spiega Leonardo Vincenti, direttore del Dipartimento Scienze chirurgiche dell’Istituto “De Bellis” e promotore del convegno - ha determinato una vera rivoluzione nel trattamento della malattia del reflusso gastroesofageo. A fronte di risultati eccellenti, che confermano i dati disponibili in letteratura su efficacia e sicurezza del trattamento, i pazienti abbandonano la terapia farmacologica sia nel breve che nel lungo termine e non presentano le complicanze tipiche degli interventi tradizionali che nel tempo hanno generato una certa ritrosia da parte dei gastroenterologi a suggerire la chirurgia».
L’intervento è mininvasivo, dura circa un’ora ed è reversibile. Il dispositivo, in silicone biocompatibile del diametro di una moneta da 1 euro, viene inserito in laparoscopia e ripristina la normale funzione dello sfintere esofageo mantenendolo nella posizione e alla distanza corretta in addome, prevenendo così la risalita del contenuto acido dello stomaco e, a differenza della chirurgia standard, senza circondare e comprimere l’esofago.
A eseguire un intervento in diretta nel corso del convegno è stato Moustafa Elshafei, primario di chirurgia del St. Elisabethan Krankenhaus di Francoforte: «Questa tecnica chirurgica, dopo aver riparato l’ernia jatale, ripristina l‘anatomia naturale della regione mantenendo lo sfintere esofageo permanentemente nell‘addome sotto il diaframma, senza gli effetti indesiderati della funduplicazione come la disfagia, che impatta notevolmente sulla qualità di vita dei pazienti, e prevenendo il rischio di recidiva».
I risultati sono incoraggianti, come dimostrano le testimonianze dei pazienti, come per esempio quella di un perito agrario pugliese che a due anni dall’intervento conferma di essersi liberato definitivamente di sintomi invalidanti. «Prendevo pantoprazolo da sette anni ogni giorno – ricorda - avevo bruciori anche solo bevendo acqua, tosse continua e spesso vomitavo. Lavorare era diventato difficile, non potevo piegarmi, non potevo fare sforzi, ho dovuto smettere anche con lo sport che per me è molto importante: prima andavo in bici, ma appena superavo i 130 battiti iniziavo a vomitare. Dopo l’intervento, sono tornato a mangiare tutto senza problemi e non ho più avuto bisogno di alcun farmaco. È stato risolutivo».