Tumore del fegato eleggibile per l'embolizzazione: un nuovo trattamento può ridurre il rischio di progressione di malattia o di morte

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Tumore del fegato eleggibile per l'embolizzazione: un nuovo trattamento può ridurre il rischio di progressione di malattia o di morte

di redazione

Si stima che ogni anno nel mondo il tumore del fegato venga diagnosticato a circa 900.000 persone. In Italia nel 2023 sono stati stimati 12.200 nuove diagnosi. La forma più frequente è il carcinoma epatocellulare che nel 20-30 per cento dei casi sarebbe possibile trattare con l'embolizzazione, una procedura che blocca l’afflusso di sangue al tumore e permette di somministrare la chemioterapia o la radioterapia direttamente al fegato. Nonostante sia lo standard di cura in questo gruppo, però, la maggior parte dei pazienti embolizzati presenta progressione di malattia o recidiva entro un anno.

All’American Society of Clinical Oncology Gastrointestinal Cancers Symposium (ASCO GI) a San Francisco Riccardo Lencioni dell’Università di Pisa ha presentato il 19 gennaio uno studio di Fase III, EMERALD-1, i cui risultati su 616 pazienti mostrano come il trattamento con durvalumab in combinazione con chemioembolizzazione transarteriosa (TACE) e bevacizumab abbia prodotto un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante dell’endpoint primario di sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla sola TACE.

Più precisamente, il trattamento con durvalumab più TACE e bevacizumab ha ridotto il rischio di progressione di malattia o di morte del 23% rispetto alla sola TACE, mentre la sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata di 15 mesi nei pazienti trattati con la combinazione con durvalumab rispetto a 8,2 mesi con TACE.

«In questo contesto di malattia – commenta Lencioni - la chemioembolizzazione rappresenta lo standard di cura da più di venti anni. I dati presentati oggi dimostrano come un approccio terapeutico combinato che comprenda, oltre alla chemioembolizzazione, un trattamento sistemico con durvalumab e bevacizumab, sia in grado di aumentare in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione».

Lo studio EMERALD-1 «evidenzia il ruolo importante dell’immunoterapia in combinazione con la chemioembolizzazione – sottolinea Vincenzo Mazzaferro, professore di Chirurgia all’Università di Milano e direttore della Chirurgia oncologica (epato-gastro-pancreatica) e trapianto di fegato all'Istituto nazionale dei tumori del capoluogo lombardo - quando il tumore è confinato al fegato e la funzionalità epatica non è compromessa. Alcuni di questi pazienti possono raggiungere livelli di risposta tumorale compatibili con terapie curative come la resezione del tumore o il trapianto».