Tumore al seno triplo negativo, alcune pazienti potrebbero evitare la chemio

Lo studio

Tumore al seno triplo negativo, alcune pazienti potrebbero evitare la chemio

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Immagine: kennedy, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons
di redazione
Se il tumore è in stadio precoce ed è molto infiltrato da cellule immunitarie dà poche recidive. Si studia se nelle donne con queste caratteristiche si può evitare la chemio

Si apre una nuova prospettiva per il tumore al seno triplo negativo: alcune pazienti potrebbero, in un prossimo futuro, evitare la chemioterapia. Da una ricerca internazionale, pubblicata sul Journal of the American Medical Association (Jama), è emerso infatti che è possibile identificare precocemente le donne con questa forma tumorale che hanno un basso rischio di recidive e che quindi potrebbero evitare i trattamenti più aggressivi: sono quelle il cui tumore è identificato in stadio precoce ed è ricco di cellule immunitarie accorse per combattere la malattia. 

Il tumore al seno triplo negativo è quello che negli ultimi anni ha tratto minori vantaggi dai progressi nelle terapie antitumorali. Non possiede nessuno dei bersagli molecolari contro cui sono indirizzati i trattamenti mirati: ciò lo rende più difficile da colpire. Inoltre, tende frequentemente a dare recidive, ha una mortalità più alta ed è più comune nelle donne  giovani. «Per questi motivi, la chemioterapia - adiuvante o neoadiuvante - è raccomandata per la maggior parte delle pazienti con tumore al seno triplo negativo in stadio iniziale», spiegano i ricercatori. 

Il nuovo studio ha analizzato i dati di quasi 2.000 donne che hanno ricevuto una diagnosi di tumore al seno triplo negativo e il cui trattamento non avesse previsto la chemioterapia. La ricerca è stata condotta inin 13 centri in Usa, Canada, Francia, Italia, Paesi Bassi, Svezia, Giappone e Corea. I ricercatori hanno osservato che quanto più alta era la presenza di ‘linfociti infiltranti il tumore’ tanto migliore era la prognosi per le pazienti. In particolare, le donne con i livelli più alti di linfociti avevano una sopravvivenza a 5 anni superiore al 90% rispetto al 72% di quelle con livelli più bassi. Più alte anche le chance di non avere recidive.

 «Questa è una scoperta importante», commenta il primo firmatario dello studio Roberto A. Leon-Ferre. «I risultati dello studio possono ispirare futuri studi clinici per esplorare se le pazienti con una prognosi favorevole possono evitare regimi di chemioterapia intensiva».