Diagnosticare e gestire l'obesità non è più solo questione di massa corporea
Il sistema per diagnosticare e gestire l'obesità non può più basarsi solo sull'indice di massa corporea (BMI): a sostenerlo è un nuovo schema per la diagnosi, la stadiazione e la gestione dell'obesità negli adulti, lanciato venerdì 5 luglio dall'European Association for the Study of Obesity (EASO) e pubblicato su Nature Medicine.
«Una novità importante del nostro schema – spiegano gli autori - riguarda la componente antropometrica della diagnosi. La base di questo cambiamento è il riconoscimento che il solo BMI è insufficiente come criterio diagnostico e che la distribuzione del grasso corporeo ha un effetto sostanziale sulla salute. Più specificamente – precisano - l'accumulo di grasso addominale è associato a un aumento del rischio di sviluppare complicazioni cardiometaboliche ed è un determinante più forte dello sviluppo della malattia rispetto al BMI, anche in individui con un livello di BMI inferiore ai valori di soglia standard per la diagnosi di obesità».
Il nuovo schema chiarisce che l'accumulo di grasso addominale è un importante fattore di rischio per il deterioramento della salute, anche in persone con BMI basso e ancora prive di manifestazioni cliniche evidenti. Il nuovo schema include quindi persone con BMI basso (≥25–30 kg/m2), ma accumulo di grasso addominale aumentato e presenza di eventuali compromissioni mediche, funzionali o psicologiche.
Gli autori chiariscono che nelle loro raccomandazioni i pilastri del trattamento delle persone con obesità aderiscono sostanzialmente alle linee guida attualmente disponibili. Le modifiche comportamentali, inclusa la terapia nutrizionale, l'attività fisica, la riduzione dello stress e il miglioramento del sonno, sono stati concordati come i principali capisaldi della gestione dell'obesità, con la possibile aggiunta di terapia psicologica, farmaci per l'obesità e procedure metaboliche o bariatriche.
Tuttavia, per queste ultime due opzioni, il Comitato direttivo ha discusso il fatto che le attuali linee guida si basano su evidenze derivanti da studi clinici, in cui i criteri di inclusione erano per lo più basati su valori di soglia antropometrici piuttosto che su una valutazione clinica completa. Pertanto, i membri del Comitato direttivo hanno proposto che, in particolare, l'uso di farmaci per l'obesità dovrebbe essere considerato in pazienti con BMI di 25 kg/m2 o superiore e un rapporto vita-altezza superiore a 0,5 e la presenza di compromissioni o complicazioni mediche, funzionali o psicologiche, indipendentemente dagli attuali valori di soglia di BMI.
«Questa dichiarazione può anche essere vista come un appello alle aziende farmaceutiche e alle autorità regolatorie – commentano gli autori - a utilizzare criteri di inclusione più aderenti alla stadiazione clinica dell'obesità e meno ai tradizionali cut-off di BMI quando si progettano futuri studi clinici con farmaci per l'obesità» e, concludono, «avvicinerà la gestione dell'obesità a quella di altre malattie croniche non trasmissibili, in cui l'obiettivo non è rappresentato da esiti intermedi a breve termine, ma da benefici per la salute a lungo termine».