No, i corpi dei morti per catastrofi naturali o guerre non sono un pericolo per la salute pubblica
Una tomba con una targa e un nome. Almeno quello, anche senza funerale, anche senza cerimonie di sepoltura. Un luogo dove poter piangere i propri defunti è il minimo necessario a chi resta per poter elaborare il lutto. E non c’è motivo di negare questa possibilità ai sopravvissuti di disastri ambientali o di conflitti armati. Perché il corpo di chi muore in queste circostanze, a meno che i luoghi colpiti non siano anche teatro di epidemie, non è una minaccia per la salute della comunità e non è necessario disfarsene il prima possibile gettandolo in fosse comuni o procedendo in tutta fretta alla cremazione. A precisarlo è un documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Croce Rossa (IFCR, International Federation of Red Cross ) che fornisce indicazioni puntuali sulla gestione dei cadaveri quando i decessi non sono causati da malattie infettive.
«La corsa inutile a sbarazzarsi dei corpi delle persone uccise in disastri o conflitti priva le famiglie dell’opportunità di identificare e piangere i propri cari, senza fornire alcun beneficio per la salute pubblica. Un trattamento dignitoso dei morti richiede tempo adeguato per identificare il defunto, piangere ed eseguire riti funebri in conformità con le norme culturali e sociali locali», ha affermato Gwen Eamer, funzionario senior per la sanità pubblica nelle emergenze dell'IFRC e capo delle operazioni di emergenza, risposta ai terremoti in Marocco.
Ai morti di morte violenta, infatti, può essere offerta una sepoltura dignitosa in completa sicurezza. Perché i corpi non diffondono nell’ambiente microbi pericolosi e possono restare all’aria aperta in attesa di essere identificati per poi venire sepolti in tombe singole facilmente accessibili e riconoscibili. Il timore di epidemie, in questi casi specifici, è infondato. E le procedure accelerate per togliere di mezzo i corpi prima di essere risaliti alla loro identità potrebbero essere più dannose che utili per la comunità perché al trauma delle perdite si aggiungerebbe la privazione del lutto.
«I corpi delle persone morte a seguito di ferite riportate in un disastro naturale o in un conflitto armato non rappresentano quasi mai un pericolo per la salute delle comunità. Questo perché i morti per trauma, annegamento o incendio normalmente non ospitano organismi che causano malattie se si osservano le comuni precauzioni», scrivono gli esperti dell’Oms e della Croce Rossa.
Le misure sono differenti solo nel caso in cui a causare i decessi è un’epidemia o il disastro si verifica in aree in cui determinate malattie infettive sono endemiche. In queste circostanze i corpi possono rappresentare un problema di salute e devono essere gestiti con maggiore attenzione. Da evitare in primo luogo la permanenza dei cadaveri nelle vicinanze di falde acquifere per il rischio di contaminare l’acqua potabile.
Mentre i corpi che muoiono a causa di disastri naturali o conflitti armati generalmente non sono una fonte di malattie e non serve neanche sottoporli a procedure di disinfezione. Basta lavarsi accuratamente le mani in caso di contatto.