Il ‘paradosso dell’obesità’ non esiste. Per chi soffre di cuore è meglio dimagrire

Lo studio

Il ‘paradosso dell’obesità’ non esiste. Per chi soffre di cuore è meglio dimagrire

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Terminator at Madame Tussauds London - November 1st, 2016. Immagine: Luke Rauscher, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons
di redazione
Non è vero che le persone con malattie cardiache e chili di troppo corrono meno rischi di chi è in peso forma

Lo hanno chiamato “paradosso dell’obesità”. È un fenomeno che è parso emergere da alcune ricerche, negli anni passati, per cui le persone con malattie cardiache, come l’insufficienza cardiaca, se sono in sovrappeso o obese hanno minori probabilità di finire in ospedale o morire rispetto alle persone di peso normale.

A quanto pare, secondo uno studio pubblicato oggi sull'European Heart Journal, il “paradosso dell’obesità” non esiste: basta usare un indicatore diverso rispetto all’indice di massa corporea (come la misura del girovita in rapporto all’altezza) per misurare quanto ci si discosti dal peso forma e l’illusione del ruolo protettivo del grasso corporeo svanisce. 

A lungo gli scienziati hanno cercato di capire da cosa derivasse il paradosso, suggerendo varie spiegazioni, per esempio il fatto che, una volta che una persona ha sviluppato problemi cardiaci, un po' di grasso in più è in qualche modo protettivo contro ulteriori problemi di salute e la morte, specialmente perché le persone che sviluppano una malattia grave e cronica spesso perdono peso.

«È stato suggerito che convivere con l'obesità è una buona cosa per i pazienti con insufficienza cardiaca e ridotta frazione di eiezione, che si verifica quando la camera principale del cuore non è in grado di pompare la normale quantità di sangue», ha detto il coordinatore dello studio John McMurray. «Sapevamo che questo non potesse essere corretto e che l'obesità doveva essere un male piuttosto che un bene. Abbiamo calcolato che parte del problema era che l’indice di massa corporea era un indicatore debole di quanto tessuto adiposo ha un paziente».

È noto che l’indice di massa corporea non tiene conto della composizione corporea e del rapporto tra grasso, muscoli e ossa o della distribuzione del grasso: «Possiamo presumere che un lottatore professionista americano (con più muscoli) e un lottatore di sumo giapponese (più grasso) con lo stesso indice di massa corporea abbiano un rischio simile di malattie cardiovascolari?», si legge in un editoriale pubblicato a corredo dello studio. «Lo stesso vale per persone come Arnold Schwarzenegger nella sua giovinezza, quando interpretava il ruolo di "Terminator" con un indice di massa corporea di circa 30 kg per metro quadro».

Lo studio ha analizzato i dati di 1.832 donne e 6.567 uomini con insufficienza cardiaca e frazione di eiezione ridotta che sono stati arruolati nello studio internazionale PARADIGM-HF. I medici hanno raccolto dati sull’indice di massa corporea, la pressione sanguigna, diverse misurazioni antropometriche, i risultati degli esami del sangue, l’anamnesi e i trattamenti a cui si sottoponevano. I ricercatori erano interessati soprattutto a quali pazienti fossero stati ricoverati in ospedale per insufficienza cardiaca o che fossero morti a causa di essa.

Il “paradosso dell’obesità” in passato aveva teorizzato la presenza di tassi di mortalità più bassi per le persone con un indice di massa corporea maggiore di 25 kg per metro quadro. A prima vista, anche questo studio sembrava confermare il paradosso, ma l’effetto è svanito quando i ricercatori hanno usato altre misure antropometriche. 

«Dopo gli aggiustamenti, sia l’indice di massa corporea sia la misura del girovita in rapporto all’altezza hanno mostrato che più grasso corporeo era associato a un maggior rischio di morte o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca», ha detto il primo firmatario dello studio  Jawad Butt.  «Osservando la misura del girovita in rapporto all’altezza, abbiamo scoperto che il 20% più alto delle persone con più grasso aveva un rischio aumentato del 39% di essere ricoverato in ospedale per insufficienza cardiaca rispetto alle persone nel 20% più basso che aveva meno grasso».

In sostanza, conclude McMurray, «il nostro studio mostra che non esiste un “paradosso dell’obesità” quando usiamo metodi migliori per misurare il grasso corporeo. Nello scompenso cardiaco, in particolare, anche il liquido trattenuto contribuisce al peso corporeo. Sono gli indici che non includono il peso, come la misura del girovita in rapporto all’altezza, che hanno chiarito la vera relazione tra grasso corporeo ed esiti del paziente, dimostrando che una maggiore adiposità è associata a esiti peggiori e non migliori».