La qualità del sonno a 40 anni incide sulle performance cognitive degli anni successivi
Chi dorme male a quarant’anni rischia di avere problemi di memoria e disturbi cognitivi una decina d’anni più tardi, ossia già a 50 anni. Così suggeriscono i risultati del nuovo studio appena pubblicato online su Neurology che certamente non aiuteranno a far dormire sonni tranquilli agli uomini e alle donne di mezza età con problemi di insonnia. Il fattore che incide sulla salute del cervello dopo i 50 anni, secondo i ricercatori, è la qualità del sonno più che la quantità.
Ma una permessa è d’obbligo: lo studio non dimostra che i disturbi del sonno causino necessariamente il declino cognitivo, ma si limita a mostrare un’associazione tra la scarsa qualità del sonno e le performance cerebrali negli anni successivi.
I ricercatori hanno coinvolto 526 persone dell’età media di 40 anni seguite per 11 anni. Tutti i partecipanti hanno indossato un braccialetto che monitora il sonno per tre giorni consecutivi due volte l’anno ogni anno nello stesso periodo per l’intero periodo di osservazione. La durata del sonno in media era di sei ore. Oltre ai dati ricavati dal dispositivo digitale, i ricercatori hanno tenuto conto delle informazioni riportate dagli stessi partecipanti su un diario dove veniva annotata l’ora dell’addormentamento e del risveglio e la qualità del sonno valutata con un punteggio da zero a 21 (il punteggio più alto indicava una qualità del sonno peggiore). Il 46 per cento delle persone coinvolte nello studio (239) ha giudicato la qualità del proprio sonno “scarsa” con punteggi superiori a 5.
I ricercatori hanno inserito nella loro analisi altri dati utili a valutare la qualità del sonno. Tra i fattori presi in considerazione nello studio c’è stata la continuità: le brevi e ripetute interruzioni del sonno sono indicative di un riposo frammentato e poco rigenerante. Un altro elemento utile a comprendere la qualità del sonno è la percentuale di tempo passata a muoversi nel letto rispetto a quella passata restando fermi.
Ebbene, sommando i due “biomarcatori” della qualità del sonno, risvegli e agitazione notturna, i ricercatori hanno osservato che i partecipanti avevano una frammentazione media del sonno del 19 per cento.
Dopo aver registrato i parametri chiave per la valutazione del sonno, gli autori dello studio hanno diviso il campione di partenza in tre gruppi in base al punteggio della frammentazione del sonno. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a test cognitivi periodicamente durante lo studio.
Tra le 175 persone con il sonno più disturbato, 44 avevano performance cognitive scarse 10 anni più tardi. Mentre nel gruppo (176 persone) con il sonno migliore, solamente 10 persone hanno mostrato problemi cognitivi più avanti negli anni.
Secondo i calcoli dei ricercatori, le persone con il sonno più disturbato avevano più del doppio delle probabilità di mostrare scarse prestazioni cognitive rispetto a quelle con il sonno meno disturbato all’età di 50 anni.
I soggetti del gruppo intermedio, invece, non si distinguevano da quelli del gruppo con il sonno migliore perché mantenevano le stesse capacità cognitive di chi dormiva nel migliore dei modi.
«Dato che i segni della malattia di Alzheimer iniziano ad accumularsi nel cervello diversi decenni prima della comparsa dei sintomi, comprendere la connessione tra il sonno e la capacità cognitiva nelle prime fasi della vita è fondamentale per comprendere il ruolo dei problemi del sonno come fattore di rischio per la malattia. I nostri risultati indicano che la qualità piuttosto che la quantità del sonno è importante per la salute cognitiva nella mezza età», ha affermato Yue Leng dell'Università della California, San Francisco, autore dello studio.