Torna di moda il “paradosso ispanico”. Perché gli americani ispanici vivono più a lungo?

Lo studio

Torna di moda il “paradosso ispanico”. Perché gli americani ispanici vivono più a lungo?

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Immagine: National Cancer Institute, Public domain, via Wikimedia Commons
di redazione
Si è pensato che fosse falso, poi sono arrivati dati affidabili a dimostrare che invece è vero, ma solo a metà: gli ispano-americani vivono più a lungo degli altri euro-americani ma non vivono meglio. E poi il paradosso non vale allo stesso modo per tutte le popolazioni latino-americane

Prima di tutto si è pensato alla dieta e più precisamente all’alimentazione ricca di legumi. Sembrava l’ipotesi più plausibile per spiegare il cosiddetto “paradosso ispanico”, lo strano fenomeno per cui  gli americani di origine ispanica sono più longevi degli euro-americani (“white americans” in inglese) nonostante in media vivano in condizioni socio-economiche peggiori, siano curati peggio e abbiano tassi maggiori di diabete e obesità. 

Da quando nel 1986 Kyriakos S. Markides, professore di medicina dell’invecchiamento all’Università del Texas, coniò per primo il termine “paradosso epidemiologico ispanico” ufficializzando un’anomalia osservata da tempo, gli scienziati hanno avanzato una lunga lista di spiegazioni. Senza però venire a capo del mistero. Anzi,  periodicamente arrivava qualcuno a sostenere che non esistesse alcun mistero e che il paradosso fosse fondato su dati incompleti. 

Ora, come racconta Statnews, una nuova generazione di scienziati, molti dei quali di origine ispanica, è intenzionata a scoprire la verità: il paradosso esiste? e, se esiste, a cosa è dovuto?

Il paradosso esiste? Sì, no, forse…

C’è chi ha sospettato che la maggiore longevità dei cittadini ispanici fosse dovuta semplicemente al fatto che molti decessi non venivano certificati negli Stati Uniti. Si è parlato di “salmon bias”, una distorsione nell’interpretazione del fenomeno dovuta all’abitudine di molti immigrati di tornare nei loro Paesi di origine a morire. 

Ma il “salmon bias” non ha retto alla verifica effettuata con i dati della Social Security, l’ente che rilascia le tessere per l’assicurazione dei lavoratori. I numeri di chi torna effettivamente a casa in punto di morte sono troppo esigui per contestare l’esistenza di un divario nell’aspettativa di vita tra “white americans” e “hispanic americans”. 

Poi è stata sollevata la scarsa accuratezza dei certificati di morte utilizzati nella ricerca originale perché in molti casi l’origine del defunto non veniva registrata correttamente, o non veniva registrata affatto. 

Anche questa obiezione si è rivelata debole.

Resta vera, invece, una banale interpretazione del paradosso: gli americani ispanici vivono più a lungo perché il resto della popolazione è piuttosto malconcia. Insomma, gli “ispanici” avrebbero gioco facile nella gara della longevità perché il confronto con gli altri è decisamente a loro favore. 

Anzi, sì: il paradosso esiste

In soccorso alla teoria di Markides sono arrivati i dati del National Center for Health Statistics e dei Centers for Disease Control and Prevention. I primi risalgono al 2010 e sono contenuti in uno studio che dimostra che gli americani ispanici hanno un’aspettativa di vita superiore di due anni rispetto agli euro-americani. Il risultato è stato confermato da un lungo rapporto dei Centers for Disease Control and Prevention sulla mortalità per il 2013 che mostrava che gli ispanici americani avevano tassi di mortalità più bassi per la maggior parte delle principali cause di morte rispetto alla popolazione di confronto (white-americans). Il paradosso ispanico è stato così ufficializzato: «I risultati di questo rapporto sono coerenti con gli studi precedenti che utilizzavano il termine 'paradosso ispanico’», si legge nell’indagine dei CDC. 

In mezzo a questi due rapporti è uscito anche terzo studio che confermava l’esistenza del paradosso ispanico: si tratta di una meta-analisi firmata da John Ruiz, professore di psicologia clinica all’ Università dell’ Arizona, che fa parte del gruppo di giovani ricercatori impegnati a proseguire gli studi inaugurati quarant’anni fa da Markides. 

Dopo aver passato  in rassegna 58 studi, Ruiz è giunto alla conclusione che le popolazioni ispaniche statunitensi avevano un rischio di mortalità per qualsiasi causa inferiore del 17,5 per cento rispetto ad altri gruppi etnici. «Potrebbe essere il momento di andare oltre la questione dell’esistenza del paradosso della mortalità ispanica e di indagare sulle cause di tale resilienza», scriveva Ruiz all’epoca.

Per essere vero è vero, ma perché gli ispanici vivono più a lungo?

Il paradosso esiste e ora va spiegato. Così la nuova generazione di ricercatori è ripartita direttamente alla ricerca delle possibili cause senza escludere nulla, neanche le ipotesi meno gettonate.

Come riporta Statnews, per esempio, anche la spiritualità potrebbe giocare un ruolo importante. Uno studio recente suggerisce infatti che le donne ispaniche nate all’estero in condizioni di salute migliori di quelle di altri gruppi hanno particolari doti caratteriali che le renderebbero più resilienti: tenacia, capacità di azione e spiritualità. 

L’altra “marcia in più” potrebbe provenire dal cosiddetto “effetto barrio”, che consiste, banalmente, nella presenza nel quartiere di persone su cui poter contare in caso di bisogno. È facile immagine cosa voglia dire: un vicino che ti aiuta se cadi, che ti ricorda l’appuntamento dal medico, che ti tiene i bambini se devi fare un controllo, che ti porta da mangiare a casa se sei malato. In sostanza significa non essere mai soli. 

L’’effetto barrio funziona anche nei Paesi latino americani e non solo negli Stati Uniti.  

L’altra faccia della medaglia: vivere più a lungo non vuol dire vivere meglio

Gli anni di vita in più non sono necessariamente anni passati bene. 

Secondo uno studio recente basato sui dati genetici di 40mila persone, gli uomini ispanici negli Stati Uniti hanno tassi di malattie cardiache più alti sia degli euro-americani che, sorprendentemente, degli afro-americani. I risultati non contraddicono il paradosso ispanico, ma lo presentano da una nuova prospettiva: è vero che gli ispanici vivono più a lungo, ma vivono peggio. O per dirla con Markides, lo scienziato che ha scoperto il paradosso, “gli ispanici vivono a lungo ma soffrono a lungo”. 

C’è poi da chiarire se il paradosso valga allo stesso modo per tutti indipendentemente dall’origine, messicani, portoricani, cubani ecc… 

I dati sull’ipertensione, per esempio, dicono di no: i messicani sono meno esposti al rischio di soffrire di pressione alta rispetto agli euro-americani, mentre i domenicani hanno tassi di ipertensione addirittura più elevati degli afro-americani.

Le differenze nei sottogruppi sono evidenti sin dalla nascita: i bambini messicani-americani e sudamericani hanno un buon peso alla nascita, ma non si può dire lo stesso dei bambini cubani. Inoltre la mortalità infantile è più alta per i bambini portoricani e dominicani, rispetto a quella tra gli americani (white americans). L’ascendenza genetica potrebbe avere un ruolo chiave nella diversa distribuzione dei rischi: per esempio il basso tasso di asma tra i messicani e al contrario l’elevata diffusione della malattia respiratoria tra i portoricani potrebbe dipendere dalla presenza di antenati africani (predisposti all’asma) tra questi ultimi e non tra i primi.