700 anni fa ci hanno salvato dalla peste. Quegli stessi geni oggi causano le malattie autoimmuni
Non c’è stata pandemia peggiore nella storia dell’umanità: nelle aree più abitate del pianeta non si salvava più di una persona su due. La peste nera, l’infezione causata dal batterio Yersinia pestis, che ha decimato la popolazione di Africa, Asia ed Europa intorno alla metà del XIV secolo ha anche modellato la risposta immunitaria dell’umanità, esercitando una pressione selettiva sui geni con conseguenze giunte fino ancora oggi. La suscettibilità ad alcune malattie autoimmuni, come il morbo di Crohn o l’artrite reumatoide, dipende dagli stessi geni che 700 anni fa avevano permesso di sopravvivere alla peste che da “buoni” sono diventati “cattivi”.
È la tesi di un gruppo di ricercatori della McMaster University, University of Chicago e del Pasteur Institute che hanno analizzato il Dna delle vittime e dei sopravvissuti alla pandemia di peste, individuando le differenze genetiche chiave tra i due gruppi e scoprendo come quelle differenze abbiano plasmato il nostro sistema immunitario nei secoli successivi.
Lo studio, pubblicato su Nature, si basa sull’analisi di oltre 500 campioni di Dna estratto dai resti degli individui morti prima che arrivasse la peste, oppure morti a causa della peste o sopravvissuti alla peste.
I ricercatori hanno ricercato i segni dell’adattamento genetico alla peste finendo per identificare 4 geni sottoposti a pressione selettiva, tutti coinvolti nella produzione di proteine che difendono il nostro sistema immunitario dai patogeni esterni. Le diverse “versioni” di quei geni, alleli, potevano proteggere dalla peste oppure favorire l’infezione.
In particolare, gli individui con due copie identiche di un particolare gene, noto come ERAP2, sono sopravvissuti alla pandemia in percentuale molto più elevata rispetto alle persone con un set di copie opposto. Le copie “buone” hanno consentito alle cellule immunitarie di neutralizzare più efficacemente il batterio Yersinia pestis.
«Quando si verifica una pandemia di questa natura, che uccide dal 30 al 50 per cento della popolazione, è inevitabile che ci sia una selezione degli alleli protettivi negli esseri umani, vale a dire che le persone sensibili all'agente patogeno circolante soccomberanno. Anche un leggero vantaggio può fare la differenza e determinare chi sopravvive e chi no. Naturalmente, i sopravvissuti in età riproduttiva trasmetteranno i loro geni alla prole», spiega Hendrik Poinar, principale autore dello studio.
Secondo le stime dei ricercatori le persone che possedevano la copia protettiva del gene ERAP2 avevano una probabilità di sopravvivere alla pesete dal 40 al 50 per cento superiore di chi aveva la copia “sbagliata”.
Nel tempo però il sistema immunitario si è evoluto per rispondere in maniera mirata ai diversi patogeni e la situazione si è ribaltata. Lo stesso gene che aveva un ruolo protettivo contro la peste nel Medioevo è oggi associato a una maggiore suscettibilità alle malattie autoimmuni.
«Capire le dinamiche che hanno plasmato il sistema immunitario umano è la chiave per capire come le pandemie passate, tra cui la peste, abbiano contribuito alla nostra suscettibilità alle malattie nei tempi moderni», afferma Poinar.