Covid-19 sarà mai un banale raffreddore? Se si ripete la storia di altri quattro coronavirus attualmente circolanti e docili ci sono speranze
Da virus pandemico, altamente contagioso, capace di provocare sintomi respiratori gravi e di causare milioni di morti, a microrganismo responsabile di un semplice raffreddore. Da minaccia alla salute a fastidioso disturbo con cui si riesce facilmente a convivere.
Non è la storia di Sars-Cov-2, ma potrebbe esserlo.
Ci sono dei precedenti che fanno ben sperare. Altri coronavirus passati dall’animale all’uomo, un tempo aggressivi e altamente trasmissibili, sono diventati mansueti e ora circolano nella stagione invernale causando al massimo starnuti, irritazione in gola e naso chiuso.
Questa, secondo alcuni scienziati, è la storia di OC43, un coronavirus che ai giorni nostri si limita a causare una congestione nasale ma che tra il 1889 e il 1894 aveva scatenato una pandemia altamente mortale.
Un gruppo di ricercatori belgi, infatti, ritiene che all’origine della cosiddetta “influenza russa”, l’epidemia di un’infezione respiratoria scoppiata nel novembre del 1889 a San Pietroburgo e presto diffusasi in un tutto il mondo, non ci sarebbe stato un virus influenzale ma un coronavirus umano appena reduce da un salto di specie, proprio come il virus responsabile di Covid-19.
Nel 2022 un team di studiosi francesi fornisce prove biologiche a sostegno della tesi sull’origine di OC43: gli scienziati hanno trovato anticorpi del virus nella polpa dentale di alcuni soldati morti nella prima guerra mondiale che erano vivi all’epoca dell’influenza russa.
Va precisato una parte dei biologi nonostante tutto continua a ritenere più convincente la natura influenzale dell’epidemia russa.
I cugini buoni di Sars-Cov-2
Oltre a OC43 altri tre coronavirus attualmente i circolazione potrebbero aver seguito lo stesso percorso ed essere passati da temuti patogeni a periodiche seccature di cui si fa presto a liberarsi. Si tratta di virus a lungo ignorati dagli scienziati, improvvisamente finiti al centro delle ricerche dopo Covid-19: NL63, 229E e HKU1.
I quattro coronavirus, di cui si occupa un lungo articolo su Science, sono attualmente responsabili del 30 per cento dei casi di raffreddore tipici della stagione invernale e forse, auspicabilmente, prefigurano quel che sarà di Sars-Cov-2 in futuro. Ripercorriamo brevemente la storia della loro scoperta.
Negli anni Sessanta compaiono i primi studi sulle malattie infettive respiratorie simili all’influenza ma causate da virus sconosciuti.
Nel 1966 viene individuato il coronavirus 229E, un virus umano molto smile a un patogeno che si annidava nei bronchi dei polli. L’anno dopo è la volta di OC43. A riconoscerlo come causa del raffreddore è un lungo studio dei National Institutes of Health. La sua forma era simile a quella del virus che causava la bronchite aviaria. Segue un lungo periodo di disinteresse finché l’attenzione verso i coronavirus umani viene riaccesa dallo scoppio dell’epidemia di Sars causata proprio da un coronavirus.
Le nuove indagini ripartite nel 2003 portano immediatamente alla scoperta di NL63. Il virus è stato isolato per la prima volta dal campione nasale di una bambina di 7 anni nei Paesi Bassi con sintomi tipici del raffreddore: febbre, naso che cola e occhi rossi. Il quarto coronavirus, HKU1, è stato individuato nel 2004 da ricercatori di Hong Kong in un uomo di 71 anni affetto da una polmonite dall’origine misteriosa. Tutti e quattro i microrganismi sono simili nella forma, con la tipica corona intorno al corpo centrale, e sono di origine animale.
I quattro salti di specie dei coronavirus
Ricostruire le fasi dello spill-over dei coronavirus non è semplice, come si è visto recentemente con Sars-Cov-2. Gli animali di partenza sono generalmente pipistrelli o roditori. A volte compare un animale intermedio prima dell’approdo alla specie umana.
Il percorso pipistrello-procione-uomo è quello più plausibile per Sars-Cov-1 (il virus della Sars). L’animale di partenza resta il pipistrello anche per Sars-Cov-2, mentre il pangolino potrebbe essere stato l’ospite intermedio.
Gli scienziati belgi che avevano collegato OC43 all’influenza russa hanno trovato forti somiglianze tra il virus umano e quello trovato nelle mucche. Portando indietro l’orologio molecolare che ripercorre le tappe evolutive del virus si arriva a un antenato comune, probabilmente un roditore, che potrebbe aver ospitato per primo il virus intorno al 1890, un periodo compatibile con la ricostruzione ipotizzata della pandemia dell’epoca.
Secondo l’ipotesi dei ricercatori la documentata epidemia di polmonite tra le mucche avvenuta tra il 1870 e il 1890 e il conseguente abbattimento di massa degli animali nei paesi industrializzati aveva esposto il personale addetto all’abbattimento al contatto con le secrezioni respiratorie bovine che avrebbero potuto contenere il precursore dell’OC43.
È ancora una volta il pipistrello, una specie diffusa in Ghana, ad aver fatto da trampolino di lancio per il salto di specie del coronavirus 229E. L’animale intermedio in questo caso potrebbe essere stato il dromedario, come si presume sia accaduto con la MERS (altra malattia respiratoria provocata da un coronavirus).
L’antenato di NL63 è stato rinvenuto nei pipistrelli tricolore del Maryland, mentre HKU1 sembrerebbe avere avuto origine nei roditori.
C’è una stranezza che è saltata agli occhi dei biologi: come mai nessun primate, a eccezione dell’uomo, ha contratto un coronavirus? La spiegazione è stata fornita dagli stessi autori che avevano fatto notare per primi l’anomalia: «Questa assenza fornisce ulteriore sostegno al sospetto che il contatto con animali domestici possa essere stato essenziale nell’acquisizione umana della maggior parte o di tutti i coronavirus endemici», dicono gli scienziati.
Il futuro di Covid: diventerà un raffreddore?
«Quei quattro coronavirus sono il sistema modello di ciò che ci aspetta. SARS-CoV-2 diventerà un comune raffreddore. Almeno questo è quello che vogliamo», ha dichiarato a Science Lia van der Hoek, virologa dell’Università di Amsterdam che nel 2003 scoprì NL63. Ma l’ipotesi dell’addolcimento di Sars-Cov-2 non convince affatto altri scienziati. Tra questi c’è la biologa evoluzionista Jemma Geoghegan dell’Università di Otago in Nuova Zelanda autrice di un articolo su Nature Reviews Genetics che mette in discussione l’idea radicata secondo cui i virus emergenti diventerebbero meno virulenti per il “desiderio” di vivere più a lungo. L’Hiv, tanto per fare un esempio, non si comporta così. Inoltre, il continuo susseguirsi di varianti di Sars-Cov-2 induce a pensare che il virus non abbia ancora scelto di mettersi comodo e di andare in pensione limitandosi a far colare qualche naso di tanto in tanto come ha fatto OC43 o come hanno fatto gli altri coronavirus. Non è detto che Covid diventi prima o poi un raffreddore, conclude Geoghegan.