I geni della resistenza agli antibiotici abitano dentro di noi
I batteri, anche quelli buoni, che vivono nel nostro corpo potrebbero fungere incubatore che preserva e alimenta il fenomeno della resistenza agli antibiotici. Secondo una ricerca coordinata dall’Earlham Institute e dal Quadram Institute di Norwich, nel Regno Unito, quei geni della resistenza la cui comparsa è favorita dall’uso di antibiotici possono ‘sopravvivere’ trasmettendosi reciprocamente tra i diversi batteri che compongono il microbiota. Ciò può succedere anche nelle persone che non sono soliti assumere antibiotici se vivono in un contesto in cui c’è un elevato consumo di questi farmaci.
La ricerche che ha visto anche la partecipazione del Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata (CIBio) dell’Università di Trento è stata pubblicata su Nature Communications.
L'aumento della resistenza agli antibiotici è delle una più serie minacce per la salute globale nei prossimi decenni. Già oggi il fenomeno ha un impatto enorme: si stima che i batteri resistenti siano coinvolti ogni anno nella morte di 4,95 milioni di persone e direttamente responsabili di 1,27 milioni.
Il microbiota umano è una comunità complessa e dinamica di milioni di specie di batteri, che vivono principalmente nell'intestino e coesistono con noi. Questi batteri svolgono un ruolo importante nella nostra salute, dalla digestione del cibo alla modulazione del sistema immunitario.
Questo attore, tuttavia, può essere vulnerabile all’influsso di altri batteri. «Anche un individuo sano, che non ha assunto antibiotici di recente, è costantemente bombardato da microbi di persone o persino animali domestici con cui interagisce. Il che può far sì che geni della resistenza si incorporino nel proprio microbiota», dice il coordinatore della ricerca Chris Quince. «Se vive in una popolazione con un pesante carico di consumo di antibiotici, ci saranno più geni della resistenza nel suo microbioma».
Per comprendere questo fenomeno i ricercatori hanno hanno analizzato oltre 3.000 campioni di microbioma intestinale, raccolti da individui sani in 14 paesi.
Hanno quindi confrontato i geni della resistenza identificati nei campioni con quelli presenti in database di genomi per comprendere come si fossero mossi i geni della resistenza.
«Ci siamo deliberatamente concentrati su campioni di persone sane, o almeno su quelli di cui potevamo essere sicuri che non stavano assumendo antibiotici. Avevamo bisogno di vedere il profilo genetico nel microbioma intestinale senza l'influenza di alcun antibiotico», ha aggiunto Quince.
I ricercatori hanno identificato una forte variabilità tra paesi nella qualità di geni della resistenza presenti nei campioni. «Abbiamo scoperto che, nei paesi in cui gli antibiotici vengono assunti più regolarmente, la popolazione ha anche un numero più elevato di geni di resistenza nel microbiota intestinale», ha affermato Quince.
Ciò accade perché i microbi condividono costantemente i geni tra loro, grazie a un fenomeno conosciuto come trasferimento genico orizzontale. Questo processo aiuta i geni della resistenza a muoversi avanti e indietro tra un batterio e l’altro.
«I nostri corpi importano ed esportano continuamente microbi e ceppi patogeni. Questi ceppi si trasmettono geni avanti e indietro, il che significa che la sfida dell’antibiotico-resistenza deve essere affrontata sia a livello micro che macro», ha aggiunto Quince.
Lo studio sottolinea che il problema dell’antibiotico-resistenza non può risolversi a livello individuale, ma richiede uno sforzo collettivo. «Questo studio è così importante perché può, per la prima volta, quantificare l'impatto che l'uso nazionale di antibiotici ha sui nostri batteri commensali», ha detto uno degli autori dello studio, Falk Hildebrand.