Morbo di Crohn: un’infezione da norovirus potrebbe favorire l’insorgere della malattia

L’ipotesi

Morbo di Crohn: un’infezione da norovirus potrebbe favorire l’insorgere della malattia

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Immagine: by Sora Shimazaki via Pexels
di redazione
Uno studio su Nature propone una nuova ipotesi sull’origine del morbo di Crohn. L’infezione da norovirus annullerebbe il ruolo protettivo di una proteina rilasciata dai linfociti T nei confronti delle cellule intestinali permettendo al sistema immunitario di attaccarle

Cosa scatena la malattia di Crohn? L’ipotesi della predisposizione genetica non regge del tutto. La mutazione genetica considerata come potenziale responsabile della malattia è presente nella metà della popolazione americana, ma solo meno di mezzo milione di persone si  ammala. Deve esserci un’altra spiegazione. Un nuovo studio pubblicato su Nature torna  a puntare il dito contro il norovirus, un patogeno responsabile di infezioni comuni che causano vomito e diarrea, già da tempo nella rosa dei possibili responsabili della malattia infiammatoria intestinale autoimmune.

I ricercatori della Langone Health e della Grossman School of Medicine della New York University hanno condotto una serie di esperimenti sui topi e sui tessuti umani, scoprendo per la prima volta che nelle persone sane i linfociti T rilasciano una proteina chiamata inibitore dell'apoptosi 5 (API5) che avverte il sistema immunitario di bloccare l’attacco alle cellule delle pareti intestinali (in assenza di questo segnale il sistema immunitario si attiva contro le cellule del tratto intestinale). 

Questa proteina aggiunge un ulteriore livello di protezione contro l’attività autoimmune, quindi anche le persone che posseggono la mutazione genetica che predispone al morbo di Crohn possono avere un intestino sano. Nel caso di un’infezione da norovirus però la protezione conferita dalla proteina può venire meno. Almeno così accade nei topi. Il virus, infatti, blocca la secrezione di API5 da parte dei linfociti T uccidendo le cellule che rivestono l’intestino. Potrebbe verificarsi lo stesso fenomeno negli esseri umani. 

L’ipotesi dei ricercatori, che dovrà essere confermata con sperimentazioni cliniche, è la seguente: la proteina API5 protegge dalla malattia la maggior parte delle persone che posseggono la mutazione che predispone al morbo di Crohn fino a quando un secondo fattore scatenante, come l'infezione da norovirus, arriva in alcuni casi ad annullarne gli effetti protettivi, inducendo il sistema immunitario ad attaccare le cellule della pareti intestinali. 

«Quando il norovirus infetta le persone con una capacità indebolita di produrre l'inibitore dell'apoptosi, l'equilibrio pende verso una malattia autoimmune conclamata», dice Ken Cadwell della NYU Langone, tra gli autori dello studio. 

Negli esperimenti sui topi geneticamente modificati portatori della mutazione umana associata al morbo di Crohn, gli animali che avevano ricevuto un'iniezione della proteina API5 erano sopravvissuti, mentre la metà degli animali che non avevano ricevuto lo stesso trattamento erano morti.

Dall’analisi dei tessuti intestinali umani è emerso che quelli prelevati da persone con malattia di Crohn avevano una quantità da cinque e dieci volte inferiore di cellule T che producono API5 rispetto a quelli provenienti dalle persone senza la malattia.

«I nostri risultati offrono nuove informazioni sul ruolo chiave che l'inibitore dell'apoptosi svolge nel morbo di Crohn. Questa molecola può fornire un nuovo target per il trattamento di questa malattia autoimmune cronica, che si è rivelata difficile da gestire a lungo termine. Le attuali terapie, che agiscono sopprimendo il sistema immunitario, mettono i pazienti ad alto rischio di infezione e spesso diventano meno efficaci dopo alcuni anni di utilizzo. Un metodo di trattamento mirato all'API5, potrebbe evitare questi problemi», ha commentato Matsuzawa-Ishimoto della NYU Langone Health.