L’Italia dei farmaci, spesa ancora in crescita e differenze tra Regioni

Rapporto OsMed

L’Italia dei farmaci, spesa ancora in crescita e differenze tra Regioni

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Immagine: NIAID, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons
di redazione
Nel 2023 in Italia ogni giorno sono state consumate complessivamente 1.899 dosi di medicinali ogni 1.000 abitanti. Italiani ancora diffidenti verso i generici, riprendono a crescere i consumi di antibiotici

Forti differenze regionali nei consumi; equivalenti che faticano a decollare e una ripresa nei consumi di antibiotici. Crescita della spesa da parte dei cittadini e di quella per i farmaci ospedalieri. Sono alcuni dei dati che emergono dal Rapporto OsMed 2023 sull’uso dei medicinali in Italia, redatto dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa).

«I dati del Rapporto OsMed mostrano che stiamo migliorando in termini di appropriatezza prescrittiva e aderenza alle terapie mentre resta più o meno stabile l’uso dei generici, tre pilastri del sistema di assistenza farmaceutica che fanno bene alla salute dei cittadini e alla tenuta dei conti pubblici», ha affermato il presidente di AIFA, Robert Nisticò. “Su questi aspetti c’è tuttavia ancora molto da lavorare per garantire da un lato la migliore efficacia dei farmaci, dall’altro la loro sostenibilità economica”. 

Consumi e spesa

Nel 2023 in Italia ogni giorno sono state consumate complessivamente 1.899 dosi di medicinali ogni 1000 abitanti, in pratica una media di due dosi quotidiane per cittadino. Il 69,7% è erogata a carico del servizio sanitario, il restante 30,3% acquistate direttamente dal cittadino.

La spesa farmaceutica, invece, è stata pari a 36,2 miliardi di euro, di cui il 68,7% rimborsato dal servizio sanitario nazionale. La spesa territoriale pubblica, comprensiva di quella convenzionata e in distribuzione diretta e “per conto”, è stata di 12 miliardi e 998 milioni, con un aumento rispetto all’anno precedente del 3%. La spesa per compartecipazione a carico del cittadino è stata invece pari a 1 miliardo e 481 milioni, circa 25 euro pro-capite, dato in calo dell’1,3% dovuto alla riduzione del 2,5% del differenziale di prezzo rispetto al generico dovuto da chi acquista invece il farmaco “originator”. Aumenta invece dell’1,7% la spesa per i ticket sulla ricetta o la confezione.

I farmaci per il sistema cardiovascolare si confermano al primo posto per consumi (513,9 dosi giornaliere per 1000 abitanti) e rappresentano la seconda categoria terapeutica a maggior spesa farmaceutica pubblica per il 2023 (3.557 milioni di euro), con una spesa pro capite SSN pari a 60,43 euro.

Al secondo posto si collocano i farmaci dell’apparato gastrointestinale e metabolismo che rappresentano la seconda categoria in termini di consumi (298,6 dosi giornaliere per 1000 abitanti) e i terzi in termini di spesa farmaceutica pubblica (3.321 milioni di euro). La spesa pro capite SSN è stata pari a 56,4 euro, in aumento del +2,2% rispetto all’anno precedente.

I farmaci del sangue e organi emopoietici si sono collocati al terzo posto in termini di consumi (144,5 dosi giornaliere per 1000 abitanti) e al quinto in termini di spesa farmaceutica pubblica (2.587 milioni di euro). 

I farmaci del sistema nervoso centrale si posizionano al quarto posto in termini di consumi (97,8 dosi giornaliere per 1.000 abitanti) e al sesto in termini di spesa farmaceutica pubblica complessiva (2.061 milioni di euro). 

Riguardo agli antidiabetici l’aumento di spesa del 7,6%, più alto della media degli ultimi 10 anni è legato sia a un aumento dei consumi (del 4,5%) che del costo medio per dose. A crescere sono in in particolare due sottogruppi di farmaci in grado di ridurre in modo significativo il peso corporeo: gli analoghi del Glp-1, a cui appartiene la semaglutide, che registrano un aumento di spesa del 17,9% e dei consumi del 26,4%, e le gliflozine, che registrano un aumento di spesa del 60,1% e dei consumi del 65,6%.

Lo strano caso dell’ulcera

Non esistono studi che dimostrino una marcata prevalenza di ulcere peptiche e malattie da reflusso esofageo al Sud Italia. Eppure, nel Meridione si consumano 100,5 dosi giornaliere ogni 1000 abitanti di farmaci contro queste malattie, in particolare gli inibitori della pompa acida, contro il 70,7 al Centro e il 77 al Nord. Con differenze regionali che vanno dalle 122,4 dosi della Campania o le quasi 100 della Basilicata, per scendere della metà e oltre in Umbria (50,7), Bolzano (51,2) e Toscana (56,7).

Quello dei farmaci anti-acido è la più lampante cartina di tornasole delle differenze regionali nell’appropriatezza prescrittiva dei medicinali. Differenze marcate anche nell’uso di antibiotici (14,5 dosi per 1.000 abitanti a Nord, 20,3 al Sud, 18,2 al Centro). Così come degli antidiabetici: al Sud 83,4 dosi giornaliere ogni 1000 abitanti contro le 64,5 del Nord e le 67,9 del Centro. Attenzione, però, avverte l’Aifa: «tali dati non possono essere interpretati esclusivamente come una generica inappropriatezza delle scelte dei medici, avulsa dalle caratteristiche del contesto assistenziale e sociale in cui si determinano. Infatti, l’attività prescrittiva è la conseguenza e l’esito anche dell’interazione con i pazienti, dipende dalla fruibilità e dall’organizzazione dei percorsi assistenziali, accesso alla diagnosi e al monitoraggio dei trattamenti». 

Riprendono a crescere gli antibiotici

Tra i trend identificati dal rapporto OsMed preoccupa la ripresa, a partire dal 2022, del consumo di antibiotici nel nostro Paese, aumentato del 6,4% nel 2023 rispetto all’anno precedente.

Lo scorso anno quasi 4 persone su 10 hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotico, con livelli più elevati al Sud, dove il 44,8% della popolazione ne ha assunto almeno uno in corso d’anno, contro il 30,9% del Nord e il 39,9% del Sud.

La crescita riguarda anche i farmaci usati soprattutto in ospedale. «Considerando che alcuni di questi antibiotici sono usati nel trattamento delle infezioni causate da microrganismi multi-drug resistant, tali dati - si legge nel Rapporto - suggeriscono la necessità di migliorare la sorveglianza delle infezioni nosocomiali nelle strutture sanitarie, garantendo una risposta tempestiva e adeguata alle infezioni. Emerge, pertanto, la necessità di implementare programmi di “Antimicrobial Stewardship” in particolar modo nelle popolazioni ad alta prevalenza d’uso per ottimizzarne il consumo e ridurre la resistenza antimicrobica».

I generici non decollano

I generici erano il 9% nel 2011, sono saliti al 22,8% in termini di spesa, al 31,2% in termini di consumi. Il trend di crescita negli ultimi 5 anni è tuttavia limitato (3 punti percentuali) e il consumo di generici in Italia resta basso, soprattutto se confrontato a quello di altri Paesi europei. Secondo i dati IQVIA, l’Italia è infatti ancora terz’ultima in Europa, con i medicinali ex-originator che occupano ancora il 44,3% del mercato dei farmaci a brevetto scaduto. 

La media UE relativa al consumo di generici è invece del 51%, con Paesi come la Gran Bretagna che sono al 60%. L’Italia è invece prima per la diffusione del mercato dei biosimilari con l’80,8% del mercato dei farmaci biologici a brevetto scaduto.

Nel ricorso ai farmaci a brevetto scaduto è forte l’eterogeneità regionale, sia in termini di spesa che di consumo. In Calabria, Campania, Sicilia e Basilicata il ricorso agli equivalenti oscilla infatti tra il 19 e il 21%, mentre a Trento e in Lombardia i valori sono rispettivamente del 44 e 43%.

Quanta diffidenza accompagni ancora il consumo dei generici lo dimostrata il miliardo e 60 milioni (dato in lieve flessione del 2,5%) della compartecipazione per il differenziale di prezzo tra l’ex-originator e no branded che ancora nel 2023 i cittadini hanno pagato di tasca propria pur avendo un’alternativa gratuita. Un dato in leggera flessione del 2,5% rispetto all’anno precedente, ma che corrisponde ancora a una spesa pro-capite di 23,5 euro al Sud, di quasi la metà, 13,3 euro, al Nord.