Epatite C. La cura c’è, basta saperlo

La campagna

Epatite C. La cura c’è, basta saperlo

di redazione
Una campagna punta a diffondere la consapevolezza su un’infezione molto diffusa e dalle conseguenze gravi. Chi ha più di 30 anni potrebbe essere portatore del virus senza saperlo. Per questo è importante lo screening

Ivan ha 35, fa il broker finanziario e vive a Milano. A 25 anni ha deciso di farsi tatuaggio. Giovanni ha 67 anni; nel 1985 dopo un incidente in moto ha avuto bisogno di diverse trasfusioni. Carmela di anni ne ha 75 e a metà degli anni Settanta ha avuto bisogno di un cesareo di urgenza per far nascere sua figlia. Fatima è nata in Egitto ed è arrivata in Sicilia 10 anni fa. Ad accomunare Ivan, Giovanni, Carmela, Fatima è l’epatite C. Tutti hanno contratto il virus, con modalità diverse, ma del tutto ordinarie: un tatuaggio, una trasfusione, strumentazione chirurgica non opportunamente sterilizzata, dalla mamma che aveva l’infezione senza saperlo. 

Contrarre l’epatite C, infatti, soprattutto in passato è stata un’evenienza  tutt’altra che rara: l’esistenza del virus è stata confermata soltanto nel 1989 e fino ad allora anche le modalità per ucciderlo non erano note al punto che anche le pratiche di disinfezione più diffuse in ambito medico si sono dimostrate inefficaci. Inoltre l’infezione, che nel suo decorso può causare gravi problemi come il cancro del fegato e la cirrosi, è a lungo asintomatica. Anche per queste ragioni esiste un alto numero di persone portatrici del virus, ma inconsapevoli

Una scarsa consapevolezza confermata da un’indagine demoscopica (“Italiani e epatiti”) eseguita da AstraRicerche per Gilead Sciences su un campione di 1.000 italiani. Infatti, sebbene il 73,9% del campione abbia sentito parlare di epatite C, tra questi, solo il 20% conosce davvero la patologia, oltre il 40% dichiara di saperne poco o niente e il 37% dice “così così”. Ancora: 6 italiani su 10 sono a conoscenza di un test diagnostico per rilevare il virus HCV, ma solo 4 su 10 sanno che oggi esiste la possibilità, per i nati tra il 1969 e il 1989 e per alcune categorie di persone a particolare rischio, di sottoporsi gratuitamente a questo test. Troppo pochi, infine – solo 4 su 10 - gli Italiani a conoscenza del fatto che l’epatite C, oggi, si può curare con un trattamento che ha probabilità di successo prossime al 100%.

Un punto all’epatite

È da questo scenario che nasce “Epatite C. Mettiamoci un punto”, campagna multicanale di sensibilizzazione per favorire una maggior conoscenza dell’infezione da Hcv e dell’importanza del test di screening.

La campagna è stata lanciata oggi da Milano, in concomitanza con il congresso EASL, il più importante evento scientifico Europeo nell’ambito dell’epatologia. Un Tram della sensibilizzazione porterà nelle vie del centro del capoluogo lombardo materiali informativi sull’epatite C e sulle modalità di trasmissione, invitando la popolazione ad eseguire il test di screening. A supportare la campagna uno spot radiofonico, il coinvolgimento di influencer e un sito dedicato

«Sebbene l’epatite C sia oggi una patologia curabile, c’è ancora un’importante quota di sommerso», sottolinea Stefano Fagiuoli, direttore dell’Unità Complessa di Gastroenterologia, Epatologia e Trapiantologia all’ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo e professore all’Università Milano Bicocca. «In parte perché questa infezione può agire silenziosamente anche per decenni, danneggiando  progressivamente il fegato e provocando una cirrosi che può trasformarsi in tumore, in parte perché non c’è adeguata consapevolezza sulle modalità di trasmissione del virus. È fondamentale, dunque, informarsi e fare il test». 

«In alcune Regioni – continua Fagiuoli – è attivo un programma di screening gratuito dell’epatite C per i nati tra il 1969 e il 1989 che bisognerebbe allargare alla popolazione generale. Investire in uno screening di tutta la popolazione significherebbe infatti ridurre costi economici e sanitari in soli 4 anni, oltre a ridurre il carico di malattia e di morte, migliorando di conseguenza la qualità di vita delle persone», conclude lo specialista. 

Rischio per tutti

Il virus HCV si trasmette principalmente attraverso il contatto con sangue infetto, e quindi con la condivisione di oggetti per la cura personale come rasoi, spazzolini da denti, strumenti per la manicure o pedicure, lo scambio di aghi o siringhe, l’esecuzione di tatuaggi o piercing con aghi non sterili. Anche coloro che hanno subito trasfusioni di sangue o trapianti d’organo prima degli anni Novanta sono a rischio poiché fino a quel momento il virus non era conosciuto. Meno frequente l’infezione per via sessuale e da madre a figlio durante il parto.

Sono molti quindi i comportamenti o le pratiche che possono portare all’infezione da HCV. Eppure solo 1 su 10 tra gli intervistati ritiene di essere un soggetto potenzialmente a rischio epatite C. Una falsa percezione che si rispecchia nella convinzione che a rischio epatite C siano solo specifici gruppi di persone: gli intervistati mettono al primo posto i tossicodipendenti per via iniettiva (46,3%), in seconda posizione, le persone che si sono sottoposte a trasfusione o trapianto d’organo (42,90%), al terzo gli alcolisti (30,57%). Solo 2 italiani su 10 associano tatuaggi (24,8%) e piercing (23,5%) al rischio epatite C. Quota che diminuisce drasticamente per le pratiche estetiche (13,6%).

«L'esposizione a procedure medico-chirurgiche prima degli anni Novanta rappresenta il più importante fattore di rischio per l'infezione da Hcv, che non è un problema confinato ai soggetti con storia di tossicodipendenza. Infatti, il virus è stato scoperto tardivamente, e fino al 1992 non sono stati disponibili test per la sua identificazione e per la conseguente messa in sicurezza delle trasfusioni, degli interventi chirurgici e di altre procedure quali la dialisi», spiega Roberta D'Ambrosio, epatologa alla Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. «A oggi il rischio di trasmissione dell'infezione è confinato a qualche procedura estetica (i.e. tatuaggi, interventi estetici) eseguita in ambienti poco controllati e a soggetti che utilizzano sostanze ricreative. Ecco perché è fondamentale agire a livello nazionale con uno screening esteso, che interessi specialmente i soggetti di età superiore ai 33 anni», conclude.

Consapevolezza è prevenzione

Per garantire il successo dello screening, tuttavia, il primo passo è la consapevolezza. Secondo l’indagine la propensione a fare il test aumenti esponenzialmente quando le persone vengono informate correttamente, passando dal 29,6% al 45,5% dopo aver letto un breve testo informativo su cosa è e come si trasmette l’epatite C.

«Ecco perché sono fondamentali le campagne di informazione locali e nazionali volte ad aumentare la conoscenza della popolazione generale su questa forma di epatite, perché solo così possiamo ottimizzare a pieno l’opportunità dello screening gratuito nazionale per la fascia dei nati dal 1969 al 1989», afferma il presidente di EpaC ETS  Ivan Gardini. «Solo dalla consapevolezza dei comportamenti a rischio può nascere il sospetto di aver contratto l'infezione e quindi la volontà di sottoporsi al test diagnostico. Un test che non deve fare paura, perché oggi per l'epatite C esiste una cura efficace». 

Informazione e sensibilizzazione sono necessari anche per combattere stigma e falsi miti, ancora diffusi tra gli Italiani. Circa 1 intervistato su 10 afferma che si devono evitare contatti con persone che vivono con epatite C; una percentuale che sale al 22% presso i maschi 18-29enni. Circa 4 su 10, inoltre, pensano erroneamente che ci sia un vaccino per l’epatite C e non sanno, invece, che esiste una cura.

«Sono molto felice del lancio di questa nuova campagna. Ancora una volta siamo al fianco della comunità scientifica e delle associazioni di pazienti per costruire insieme un mondo senza epatite C», afferma Carmen Piccolo, direttore Medico di Gilead Sciences Italia. «Collaborare con tutti gli attori del Sistema Salute è essenziale per fare davvero la differenza, promuovendo corretta informazione, sensibilizzazione e l’accesso a diagnosi e terapie. Sono profondamente convinta che solo unendo le nostre forze potremo raggiungere gli obiettivi fissati dall’OMS. Invito tutte le persone con un profilo a rischio a sottoporsi al test, solo così potremo sconfiggere l’epatite C».