Tumore ovarico, nelle storie delle pazienti la ricetta per cambiare rotta
Le informazioni di base non mancano: il 70 per delle donne con tumore ovarico sa in cosa consiste la malattia già prima della diagnosi. È un dato capovolto rispetto a quello di dieci anni fa quando solo il 30 per cento delle pazienti aveva sentito parlare della patologia appena scoperta. Ed è uno dei cambi di rotta positivi emersi dall’indagine condotta da ACTO Italia su oltre cento pazienti sul territorio nazionale, contenuti in “Cambiamo rotta”, il primo Libro bianco illustrato di voci, bisogni e proposte delle donne con tumore ovarico che è stato presentato il 14 settembre al ministero della Salute.
Altri cambi di rotta, invece, altrettanto necessari, stentano a partire: meno di tre pazienti su dieci, infatti, scelgono di curarsi in un Centro specializzato per questa neoplasia, senza sapere che questa decisione può compromettere il percorso di cura e la stragrande maggioranza delle diagnosi, il 70 per cento, arriva ancora troppo tardi, quando il tumore è già in fase avanzata.
L’incontro è stato l’occasione di confronto tra clinici, rappresentanti istituzionali, Associazioni di pazienti ed enti di ricerca e cura, per individuare strategie per una più efficiente e omogenea presa in carico delle donne con tumore ovarico, alla luce delle sfide della medicina del territorio e delle opportunità offerte da innovazione terapeutica, diagnostica e digitalizzazione.
«È necessario e urgente promuovere un nuovo cambio di rotta nella gestione del tumore ovarico. Bisogna restare sulle strade buone che ci hanno portato fin qui - sostiene Nicoletta Cerana, presidente di ACTO Italia - ma contemporaneamente aprire nuovi percorsi per continuare a innovare. Quali? Aumentare l’informazione sulla malattia e sui Centri specializzati per promuovere scelte di cura più consapevoli; sostenere la ricerca per la diagnosi precoce che ancora oggi resta una chimera; aprire ai test genomici per rendere possibili le cure personalizzate; cominciare a parlare di sessualità e oncologia, un ambito di bisogni del tutto dimenticato che sta emergendo sempre più forte da parte delle pazienti. Si vive di più anche con il tumore ovarico, di conseguenza è diventato necessario prendersi cura della persona, oltre che curare la malattia».
Il Libro bianco è stato realizzato grazie al contributo di oltre venti professionisti, tra clinici ed esperti, e alle testimonianze di nove donne che raccontano il proprio viaggio lungo il percorso di diagnosi e cura. Di rilievo anche i contributi dei rappresentanti istituzionali, che si sono dimostrati sensibili al tema, tra cui la prefazione del ministro della Salute Orazio Schillaci.
Il progetto “Cambiamo rotta” è promosso con il patrocinio di ACTO Italia, Alleanza contro il Tumore Ovarico ETS, e sponsorizzato da GSK e Roche. Ha inoltre ricevuto il patrocinio di Aiom (Associazione italiana di oncologia medica), Mango (Mario Negri gynecologic oncology group), Mito (Multicenter italian trials in ovarian cancer), Salute: un bene da difendere un diritto da promuovere, Sic (Società Italiana di cancerologia), e l’adesione delle Associazioni Loto e Mai più sole. Madrina d’eccezione l'attrice Nancy Brilli.
Al progetto si affianca il Manifesto ACTO 2.0 che sintetizza le sette azioni prioritarie per migliorare la presa in carico globale delle donne con tumore ovarico.
Lo tsunami dei test genetici che ha rivoluzionato le cure
«Negli ultimi cinque anni - sottolinea Nicoletta Colombo, professoressa all'Università di Milano-Bicocca, direttrice del Programma Ginecologia dell'Istituto europeo di oncologia - è accaduto quello che io definisco uno tsunami nel trattamento del carcinoma ovarico: per la prima volta siamo riusciti ad aumentare la percentuale di pazienti potenzialmente guarite. Abbiamo scoperto, infatti, il primo “bersaglio” del tumore ovarico che può essere colpito con farmaci mirati: si chiama Deficit della ricombinazione omologa, HRD. Il deficit è presente nei tumori di tutte le pazienti con mutazioni BRCA e di un altro 25% di pazienti senza mutazioni di questi geni: quindi nella metà dei casi totali. Bisogna perciò garantire due tipi di test: quelli genetici, soprattutto a scopo di prevenzione delle persone sane, e quelli genomici sul tessuto tumorale, come il test HRD, per personalizzare le cure nelle donne malate».
La ricerca di ACTO Italia mostra che meno della metà delle pazienti (45%) accede alla profilazione genomica. C’è inoltre ancora un 12 per cento a cui non è stato proposto il test genetico per le mutazioni BRCA. A oggi, però, solo la ricerca delle mutazioni BRCA (test genetico) è nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), mentre la ricerca di HRD (profilazione genomica) non è ancora rimborsata dal Servizio sanitario nazionale.
«Il rischio è che non tutte le pazienti possano accedere ai test in modo uniforme sul territorio e, di conseguenza, non abbiano le stesse opportunità di cura» avverte Umberto Malapelle, Chair del Laboratorio di Patologia molecolare predittiva, Dipartimento di Sanità pubblica, all'Università Federico II di Napoli. «La ricerca, inoltre, procede molto velocemente - aggiunge - e, a mio avviso, i Lea dovrebbero prevedere, più in generale, la profilazione genomica estesa, lasciando agli esperti la decisione di quale tipo di strategia utilizzare in relazione al quesito clinico».
I test rappresentano quindi un requisito essenziale per garantire a ogni paziente una strategia terapeutica personalizzata.
«I risultati di questa personalizzazione riguardano soprattutto la terapia medica e di mantenimento -conferma Domenica Lorusso, professoressa di Ostetricia e ginecologia allUniversità Cattolica e responsabile dell'Unità operativa complessa Programmazione ricerca clinica del Policlinico Gemelli di Roma - e si traducono in una opportunità concreta di attingere a nuove classi di farmaci mirati e a bersaglio molecolare, PARP inibitori, immunoterapie, anticorpi farmaco coniugati, che richiedono una gestione e una presa in carico di un team multidisciplinare. Da qui l’esigenza di identificare i Centri oncologici specializzati dove queste pazienti possono essere curate».
Manca l’informazione chiave: è fondamentale rivolgersi al Centro specializzato
Come evidenziano i dati dell’indagine ACTO Italia, solo il 27 per cento delle pazienti, dichiara di aver scelto il proprio Centro in base alla specializzazione nel trattamento del carcinoma ovarico.
«Questo è un aspetto centrale soprattutto quando parliamo del trattamento chirurgico, che oggi rappresenta la terapia d’elezione in tutte le fasi della malattia: nello stadio iniziale, dove l’intervento e la chemioterapia permettono di raggiungere tassi di guarigione anche dell’80-85%; negli stadi avanzati, dove l’intervento da solo riesce a eradicare la malattia in circa il 60% delle pazienti. Solo i Centri specializzati possono infatti garantire anche l’expertise dell’équipe chirurgica» dice Giovanni Scambia, direttore dell'Unità operativa complessa di Ginecologia oncologica del Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma.
«Essere curate per il tumore ovarico al meglio delle nostre attuali conoscenze e con le tecnologie più all’avanguardia non può essere una questione di fortuna» commenta Sandro Pignata, direttore dell'Uoc di Oncologia uro-ginecologica all'Istituto nazionale tumor Pascale di Napoli, coordinatore scientifico della Rete oncologica campana e presidente del Multicenter Italian Trials in Ovarian cancer and gynecologic malignancies (MITO) . «E non può e non deve dipendere da dove si vive. Ci sono le Linee guida - prosegue - e c’è uno strumento attuativo indispensabile che serve ad applicarle: il Pdta, cioè il Percorso diagnostico terapeutico ssistenziale del tumore ovarico. E poiché il nostro sistema sanitario è regionale, ogni Regione si dovrebbe dotare del Pdta del tumore dell’ovaio».
La voce delle donne
Come sottolinea Annamaria Mancuso, presidente di Salute Donna ODV e coordinatrice del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, «quello che cerchiamo di fare con il nostro movimento, che aa oggi raggruppa 45 Associazioni, è far sì che i servizi viaggino alla stessa velocità con cui corre la Scienza. Vogliamo essere insieme ai decisori politici protagonisti attivi di un confronto che mira a migliorare la vita di chi già deve lottare contro il cancro».
Il percorso-viaggio nella malattia, dalla diagnosi alla cura e oltre, può essere difficile e doloroso per una donna e per chi le sta accanto, come sa bene l’attrice Nancy Brilli, intervenuta nella veste di madrina all’evento di presentazione del Libro bianco: «Ho sempre sofferto di endometriosi, poi - racconta - mi è stato diagnosticato il tumore ovarico. Sposo quindi in toto il progetto di ACTO Italia al quale ho aderito con piacere per contribuire a dare voce alle istanze delle donne con questa neoplasia, alle loro storie e a quello che significano».
L’impegno della politica: una sanità sempre più vicina ai bisogni delle pazienti
È fondamentale agire per garantire standard di presa in carico omogenei sul territorio nazionale.
«Desidero esprimere il mio apprezzamento e la mia gratitudine ad ACTO Italia - dice il ministro della Salute Orazio Schillaci - per la realizzazione di questo testo particolarmente significativo e per l’impegno costante a fianco delle donne colpite da tumore ovarico e da tutti i tumori ginecologici. Prevenzione, diagnosi precoce e una presa in carico tempestiva e appropriata sono le linee strategiche delineate dal Piano oncologico nazionale 2023-2027 nonché le leve fondamentali su cui puntare con rinnovato impegno, anche cogliendo a pieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie».
Un’attenzione particolare degli interlocutori coinvolti nella stesura del Libro bianco è rivolta alla qualità di vita e all’oncologia territoriale. «In questo caso il compito della Politica - sostiene la senatrice Elena Murelli - è quello di ascoltare le esigenze di pazienti e professionisti, stabilire delle priorità insieme a loro e costruire una sanità sempre più vicina alle reali esigenze di ogni persona, sfruttando anche le nuove opportunità del Piano nazionale di ripresa e resilienza».
«Siamo orgogliosi di aver potuto sostenere Cambiamo Rotta e il grande contributo delle Associazioni di pazienti nella realizzazione del primo Libro bianco sul tumore ovarico. Nel nostro lavoro è fondamentale collaborare con i Pazienti e i loro caregiver tramite le organizzazioni che li rappresentano. Rinnovare il nostro impegno al loro fianco è un obiettivo per noi prioritario, a cui lavora un team interamente dedicato all’advocacy e all’engagement», conclude Laura Cappellari, Patients Affairs Director di GSK.