Il percorso delle donne con carcinoma ovarico
Analizzare il livello di conoscenza del tumore ovarico nelle pazienti, scattare una fotografia di ogni tappa dell’attuale percorso di cura e far emergere i bisogni insoddisfatti. Sono i tre obiettivi della ricerca condotta da ACTO Italia tra maggio e giugno 2023 su 109 pazienti con tumore ovarico distribuite su tutto il territorio nazionale (il 47% al Nord, il 25% al Centro e il 28% nel Sud e nelle isole), con un’età media di 57 anni e una diagnosi ricevuta in media nei tre anni precedenti. I risultati della ricerca sono raccolti nel Libro bianco illustrato di voci, bisogni e proposte delle donne con tumore ovarico “Cambiamo rotta”, progetto promosso con il patrocinio di ACTO Italia, sponsorizzato da GSK e Roche. Il progetto ha inoltre ricevuto il patrocinio di Aiom, Mango, Mito, Salute: un bene da difendere un diritto da promuovere, Società italiana di cancerologia. Con l’adesione delle Associazioni Loto e Mai più sole. Ecco una sintesi dei risultati.
La conoscenza del tumore ovarico
Quasi sette donne su dieci (66%) conoscevano il tumore ovarico già prima della diagnosi. Il canale principale di informazione è il ginecologo (36%), ma al secondo posto si trovano, a pari merito, i siti internet, le trasmissioni e i servizi in televisione e radio e il medico di famiglia (17%). Compaiono anche social network, forum e blog (10%).
La consapevolezza è molto aumentata: dieci anni fa, appena tre donne su dieci sapevano in cosa consistesse la malattia.
La difficoltà di arrivare alla diagnosi
Circa sette pazienti su dieci sono anche le donne che hanno scoperto il tumore quando era già in stadio avanzato (III o IV).
Nel 54 per cento circa dei casi la diagnosi è avvenuta a seguito di visite per la presenza di sintomi non specifici, mentre nel 42 per cento è stata casuale: a seguito di controlli di routine (26%) o di controlli per altre patologie (16%). Il restante 4 per cento circa, infine, è rappresentato da pazienti che sapevano di essere BRCA-positive prima della diagnosi ed erano inserite in un percorso di sorveglianza attiva. In generale, la metà delle pazienti aveva effettuato controlli ginecologici annuali nei cinque anni precedenti.
I tre sintomi più frequenti sono stati gonfiore addominale (58%), disturbi nel basso ventre (39%) e perdita di peso (34%). Il 94 per cento delle donne non ha sospettato che potessero essere riconducibili a un tumore ginecologico.
Si conferma quanto è noto dall’epidemiologia: purtroppo, la stragrande maggioranza delle pazienti scopre tardi la malattia, nonostante le visite ginecologiche annuali. A colpire è soprattutto il fatto che per oltre quattro pazienti su dieci la diagnosi avvenga per caso. Un altro fattore da considerare è l’aspecificità dei sintomi, che rende complesso ricondurli alla patologia.
La scelta dell’ospedale
Solo il 27 per cento delle pazienti ha cercato un Centro di riferimento per la Ginecologia oncologica. La maggior parte ha scelto su consiglio del medico (41%) e in base alla vicinanza alla propria abitazione (40%).
Per un’alta percentuale di donne la scelta dell’ospedale è dettata da fattori diversi dalla specializzazione nel trattamento del carcinoma ovarico. Un dato fortemente negativo, questo, che indica l’esigenza di continuare a fare informazione, perché è solo il Centro specializzato che può garantire la gestione adeguata della paziente in tutto il percorso.
La diffusione del test genetico BRCA
L’88 per cento delle pazienti è stato informato riguardo al test genetico per le mutazioni BRCA: l’81 per cento lo ha effettuato, il 7 per cento ha preferito non farlo. Al restante 12 per cento non è stato proposto. Il 27 per cento delle pazienti che ha effettuato il test è risultato BRCA-positivo (dato in linea con quanto descritto nella letteratura scientifica).
Il test BRCA è nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) ormai da diversi anni e dovrebbe essere offerto a tutte le pazienti con carcinoma ovarico. Resta quindi un gap ancora da colmare. È fondamentale che, una volta individuate le pazienti BRCA-positive o con altre sindromi ereditarie che aumentano il rischio di questo tumore e di altri, il test genetico venga proposto “a cascata” anche ai familiari, attivamente e gratuitamente.
La diffusione del test HRD e della profilazione genomica
Il 76 per cento delle pazienti conosce il test genomico per la ricerca del Deficit della ricombinazione omologa (HRD) e di altre alterazioni del genoma del tumore. Il 45 per cento dichiara che tra gli esami diagnostici/prognostici effettuati sul proprio tumore asportato il test è stato eseguito. Il 41 per cento dichiara di aver effettuato sia il test genetico sia il test genomico.
Il test genomico HRD, un esame diagnostico-prognostico oggi fondamentale per la personalizzazione della terapia, non è ancora nei Lea e rappresenta un grande bisogno insoddisfatto. È quindi importante che tutte le pazienti con tumore ovarico siano informate sull’importanza della profilazione genomica e abbiano accesso a questi test.
I trattamenti e le informazioni sul percorso di cura
Quasi tutte le pazienti hanno effettuato l’intervento chirurgico (92%) e la chemioterapia (86%). Il 27 per cento ha seguito/segue anche una terapia di mantenimento. La radioterapia è un trattamento riservato a una selezione di pazienti, pari al 10 per cento. Nell’81 per cento delle pazienti sottoposte alla chirurgia, questa ha permesso di asportare integralmente il tumore.
Il 43 per cento delle pazienti dichiara di essere stata ben informata sul percorso di cura fin dall'inizio della malattia; il 53 per cento è "mediamente" soddisfatta delle informazioni ricevute, mentre il 4 per cento non si è sentita per nulla informata. Il livello più basso di soddisfazione per le informazioni ricevute riguarda la possibilità di recidiva. Il dialogo medico-paziente e medico-caregiver è fondamentale ai fini dell’aderenza alle cure e per migliorare la qualità di vita delle donne con carcinoma ovarico.
L’aderenza alle terapie domiciliari orali
La maggior parte delle pazienti dichiara di assumere i farmaci orali a domicilio con costanza; capita raramente o poche volte di dimenticare la terapia orale (36%), di restare senza (24%), di non assumerla nel modo corretto (24%). L’adesione alle cure appare buona. Questo dato indica che le pazienti hanno un approccio positivo e attento.
Il percorso di onco-fertilità
Il 43 per cento di tutte le pazienti - e il 78 per cento di quelle under 40 - ha ricevuto informazioni sul percorso di onco-fertilità. Il 4 per cento lo ha intrapreso. Non sono molti i casi in cui è possibile avere una gravidanza dopo una diagnosi di tumore ovarico, e riguardano ovviamente le pazienti con carcinoma ovarico in stadio iniziale, dove una delle due ovaie può essere conservata. La possibilità di questo percorso, però, non deve essere esclusa a priori.
La sessualità
Il 41 per cento delle donne ha preferito non rispondere alle domande sull’impatto del tumore ovarico sulla sessualità. Tra il 59 per cento rimanente, la sessualità è peggiorata per oltre la metà (il 52 per cento). Nel 16 per cento dei casi, le pazienti hanno cercato un supporto nello psicologo e nel 12 per cento nel ginecologo. Nessuna donna si è rivolta al sessuologo. La sessualità sembra essere un tabù per quattro donne su dieci. Nella quasi totalità delle altre, la vita sessuale è peggiorata: accanto alle motivazioni fisiche, preponderanti, troviamo anche quelle psicologiche. La figura del sessuologo come professionista in grado di rispondere a questo bisogno insoddisfatto risulta completamente assente.
Il lavoro
Le condizioni lavorative risultano peggiorate per il 65 per cento delle pazienti e le condizioni economiche per il 53 per cento. Il 40 per cento non ha ricevuto informazioni sui diritti socio-sanitari e solo il 26 per cento si sente ben informata.
L’informazione sui diritti socio-economici non è ancora ottimale, ma è certamente un punto importante per l’autodeterminarsi delle donne, soprattutto in fase cronica/di sorveglianza della malattia.
La qualità di vita: sostegno psicologico e cure complementari/extra-oncologiche
Il 45 per cento delle pazienti usufruisce di psicologi, nutrizionisti e professionisti specializzati nelle terapie complementari. Il 30 per cento si rivolge alle Associazioni di pazienti o volontariato. Il 43 per cento vorrebbe maggiori informazioni sulle terapie complementari/integrative; il 31 per cento maggior confronto tra pazienti, il 28 per cento maggior supporto psicologico.
Le risposte delle donne sottolineano la necessità di offrire questo tipo di supporti in modo sistematico all’interno del sistema socio-sanitario pubblico.