Malattia renale cronica: l’epidemia silenziosa
Ogni dieci adulti che incontriamo per strada, uno soffre di malattia renale cronica, una condizione che non è ancora l’insufficienza renale, cioè la perdita irreversibile della funzione renale, ma ne costituisce la naturale premessa.
In totale, nel nostro Paese, la malattia renale colpisce circa 3 milioni e mezzo di persone: un numero doppio rispetto a soli 25 anni or sono. Una vera e propria epidemia, di cui ha preso atto anche il ministero della Salute che a breve renderà pubblico il Piano Nazionale della Cronicità in cui saranno sistematizzate tutte le attività in tema di malattie renali croniche:«Nel Piano vengono suggeriti impegni e obiettivi da realizzare relativamente ad alcune specifiche malattie croniche con precise caratteristiche quali la rilevanza epidemiologica, la gravità, l’invalidità, il peso assistenziale ed economico, la difficoltà di diagnosi e di accesso alle cure: al primo posto le malattie renali croniche e l’insufficienza renale. Si tratta di una vera e propria emergenza», dice il presidente della Società Italiana di Nefrologia Antonio Santoro.
La ricetta ormai è chiara e comprende diagnosi precoce, individuazione dei soggetti a rischio, allontanamento nel tempo dell’insorgenza della malattia, domiciliarizzazione del paziente, promozione di un piano di trattamento specifico ed individualizzato dei pazienti da inserire in specifici Percorsi Diagnostico-Terapeutico-Assistenziali ( PDTA).
«La vera frontiera è rappresentata dalla prevenzione, dalla ricerca e dalla battaglia culturale, mai davvero ingaggiata, per accrescere le donazioni di organi e il numero dei trapianti», aggiunge Valentina Paris, presidente dell’Associazione Nazionale Emodializzati, Dialisi e Trapianto.
In particolare, “il trapianto da donatore vivente si è dimostrato, in assoluto, una terapia efficace nella insufficienza renale cronica in fase terminale, sia che si valutino i risultati in termini di sopravvivenza nel breve e lungo periodo dei pazienti e del rene trapiantato, sia che si valutino in termini di morbilità o di qualità della vita», spiega Giovanni Giorgio Battaglia, direttore Dipartimento di Medicina ASP di Catania.
Tuttavia, oggi il trapianto di rene da donatore vivente rappresenta meno del 10 per cento dei trapianti eseguiti in Italia ogni anno, nonostante numerosi centri italiani siano autorizzati ad effettuare questo tipo di intervento.
Il trapianto, tuttavia, costituisce l’extrema ratio. Importante sarebbe agire all’origine del problema: «Molti dei fattori di rischio sono prevenibili e la loro prevenzione può contribuire a ridurre in modo significativo la morbidità e la mortalità dovuta a malattie cardiovascolari e renali croniche. Si può fare moltissimo per modificare questa situazione, soprattutto adesso che sappiamo di che cosa ci si ammala e di cosa si muore in Italia», conclude Giuseppe Remuzzi, direttore del dipartimento di Medicina dell’Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo e coordinatore delle Ricerche all’Istituto Mario Negri di Bergamo. « E i risparmi per il nostro servizio sanitario sarebbero enormi»