Senza correttivi, nel 2050 la sanità mondiale manderà nell'atmosfera 6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica ogni anno

Ambiente

Senza correttivi, nel 2050 la sanità mondiale manderà nell'atmosfera 6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica ogni anno

di redazione

Secondo l’Health Care Without Harm (HCWH), un network internazionale che comprende centinaia di ospedali, amministratori e professionisti, se il settore sanitario globale fosse una nazione sarebbe il quinto Paese più inquinante della Terra dopo Stati Uniti, Cina, Russia e India. E visto che in futuro prestazioni e servizi sanitari sono destinati ad allargarsi, non solo geograficamente, è stato calcolato che nel 2050 dalla sanità arriveranno in atmosfera 6 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, con tutto ciò che comporta per il riscaldamento globale. A meno che anche la gestione dei sistemi sanitari non diventi più sostenibile, senza ovviamente intaccare il livello delle prestazioni.

Insomma, il sistema sanitario, e in particolare quello ospedaliero, vive un paradosso: ha come obiettivo la tutela della salute, ma al tempo stesso contribuisce all'inquinamento e alla crisi climatica.

Tuttavia sono tantissimi gli ambiti in cui si può agire e di questo si è discusso mercoledì 17 aprile nel convegno “Hospital building management (HBM) - L’impronta climatica delle strutture ospedaliere e sanitarie” nell'ambito di Exposanità, in corso a Bologna fino al 19 aprile.

L'appuntamento, promosso dalla Società italiana dell'architettura e dell'ingegneria per la sanità (Siais), è stato l'occasione per illustrare raccomandazioni e piani d’azione per un sistema sanitario a "zero emissioni”.

«L'impronta ecologica degli ospedali o, meglio, dei servizi sanitari comprende in primis quella dovuta alle loro attività, ai prodotti e alle tecnologie che usano, all'energia e alle risorse naturali che consumano, ai rifiuti che generano, agli edifici che costruiscono e occupano. In una visione sistemica sarebbe corretto aggiungere anche l'impronta indiretta, cioè la generazione di trasporto di pazienti e forniture, quella dovuta appunto all'energia che richiedono e alla produzione soprattutto dei medicinali» spiega Simona Ganassi Agger, architetta e membro di Siais. «Occorre innanzitutto progettare ospedali che rispondano ai requisiti più moderni in tema di efficienza energetica, riducendo il consumo di suolo, alimentandoli a rinnovabili e digitalizzandoli, magari rendendo più facile l’accesso anche attraverso i mezzi pubblici. Ma la gestione degli edifici, cioè riscaldamento, raffrescamento e illuminazione – osserva - rappresenta solo il 10% del totale delle emissioni. Uno dei punti fondamentali riguarda le prestazioni, miliardi ogni giorno in tutto il mondo. Per effettuare mille esami del sangue si produce una CO2 equivalente a 700 chilometri percorsi in automobile, che diventano 145 se rapportati a una singola risonanza magnetica».

La sostenibilità, secondo Daniela Pedrini, presidente Siais, «è l'applicazione dello sforzo durante la progettazione, la costruzione e il funzionamento per consentire il funzionamento con il minor consumo possibile di energia, acqua, materiale e rifiuti, senza compromettere la sicurezza o avere un impatto negativo sui risultati delle cure dei pazienti. La sostenibilità dovrebbe essere raggiunta applicando obiettivi misurabili con un monitoraggio regolare e accurato e dovrebbe anche ridurre gli impatti finanziari. Le nuove strutture ospedaliere e sanitarie dovrebbero essere pianificate, progettate, costruite e mantenute in modo da raggiungere emissioni aggregate inferiori del 50% rispetto ai livelli del 2010 entro il 2030, fino a zero emissioni entro il 2050» E le nuove tecnologie, «come l'intelligenza artificiale e la digitalizzazione- conclude Pedrini - permettono di contribuire a questi risultati».