Bpco, Covid ha fatto alzare la guardia. Pazienti più attenti ai primi sintomi

L’indagine

Bpco, Covid ha fatto alzare la guardia. Pazienti più attenti ai primi sintomi

Dortelweil,_Walking_Men,_Detailansicht.JPG

Immagine: Karsten11, Public domain, via Wikimedia Commons
di redazione
Da un’indagine di Doxa Pharma su 100 pneumologi emerge una maggiore consapevolezza della salute dei polmoni nel post-pandemia. Aumentano gli accessi in ambulatorio e le richieste per esami diagnostici. Le donne sono le più attente: si fanno visitare ai primi sintomi e si curano meglio

È innegabile: Covid-19 è stato uno spartiacque in tanti, forse tutti, gli ambiti della vita. Fare un confronto tra un “pre” e un “post” pandemia è effettivamente quasi sempre possibile. E in alcuni casi, è anche estremamente utile. 

Lo è, per esempio, scoprire come è cambiata la percezione delle delle malattie respiratorie, e in particolare della BPCO, tra la popolazione italiana e, soprattutto, capire come si sono modificati i comportamenti degli individui più o meno a rischio. C’è oggi una maggiore attenzione alla salute dei polmoni? La domanda è stata rivolta a 100 pneumologi che hanno partecipato a un’indagine di Doxa Pharma e che hanno descritto nel dettaglio le principali novità dell’era post-Covid. 

In estrema sintesi, dopo la pandemia respirare, e si intende  respirare bene, è un atto che non si può più dare per scontato, è un valore a cui si deve prestare grande attenzione, da preservare e monitorare. 

Lo scenario post-pandemia

Il 41 per cento degli intervistati dichiara che gli accessi in ambulatorio nel periodo post emergenza sono aumentati e il 46 per cento sostiene che il fenomeno dipenda da una maggiore consapevolezza verso la malattia.  Il 20 per cento degli specialisti afferma che a spingere il paziente dallo specialista è, invece, la paura delle complicanze. Che non è infondata, va specificato. Le riacutizzazioni hanno infatti un peso considerevole nel declino della capacità respiratoria. Tanto che le raccomandazioni internazionali GOLD 2023 suggeriscono addirittura la necessità di prescrivere la terapia massima, la triplice, già dopo il primo episodio. 

Dopo la pandemia, in molti hanno sentito la necessità di controllarsi di più: la richiesta degli esami diagnostici da parte dei pazienti è aumentata ma le liste d’attesa troppo lunghe non sempre permettono di sfruttare questa nuova attenzione alla salute respiratoria per effettuare diagnosi precoci e prevenzione. 

Per 6 pneumologi su 10 le note più negative arrivano dal patient journey, il viaggio del paziente all’interno del servizio sanitario, tra visite, esami, diagnosi, terapie.  A fronte di una maggiore richiesta di esami diagnostici (18%), i medici sottolineano il problema dei tempi di attesa lunghi (38%) e le difficoltà nell’accedere alla spirometria (18%). I punti critici sollevati dagli specialisti sono condivisi dai malati che chiedono la riduzione delle liste d’attesa (42%), la ripresa di un follow un adeguato (21%), l’accesso alla diagnosi precoce (15%). Per gli specialisti la priorità è aumentare il monitoraggio (35%), la spirometria prima di tutto, ma anche 

altri esami, ridurre i tempi di attesa per le visite (30%). Da evidenziare l’auspicio del 16 per cento di un  ruolo più centrale del medico di medicina generale.

L’attenzione ai sintomi, le donne sono più brave

L’altro dato su cui vale la pena puntare i riflettori è la differenza di genere. Le donne (35% delle pazienti vs 65% di maschi) sono più brave degli uomini, ma questa non è una novità. Hanno una storia di malattia inferiore: 9 anni rispetto a 12. Presentano una condizione e comorbidità meno gravi: disturbi dell’umore e osteoporosi, mentre gli uomini soffrono soprattutto di patologie cardiovascolari e di diabete. A fare la differenza è che le donne si preoccupano ai primi sintomi (41% contro l’11% degli uomini), sono più attente alla propria salute (qui il gap è più marcato: 62% vs 22%), alle prescrizioni e ai consigli del medico (39% rispetto al 21%), si curano meglio (39% - 24%). 

Non a caso le donne sono prevalentementa in terapia con la doppia broncodilatazione (LABA+LAMA), gli uomini con la triplice (ICS+LABA+LAMA).

BPCO, non è una malattia da vecchi

Nel mondo più di mezzo miliardo di persone convive con malattie respiratorie croniche come l'asma, la BPCO, la bronchiectasia e altre gravi patologie. In Italia, 2,6 milioni di persone soffrono di asma, 3,3 milioni di BPCO, più di 50 mila presentano infezioni delle basse vie respiratorie e oltre 60 mila sono malate di cancro ai polmoni. Sommando tutte le patologie, la malattia respiratoria in senso ampio risulta la terza causa di morte sul pianeta, con una stima di più di 50 mila decessi l’anno. Numeri destinati a crescere in parte a causa dell’invecchiamento progressivo della popolazione e in parte per l’aumento dei fumatori.

La BPCO non è infatti una patologia esclusivamente da vecchi. L’abitudine al fumo e l’abbassamento dell’età media a cui ci si accende la prima sigaretta ha anticipato l’età della diagnosi ai 50 anni. E dalla moda delle sigarette elettroniche, inoltre, non c’è da aspettarsi nulla di buono. 

Il paradosso: i farmaci ci sono e sono efficaci, ma se non vengono presi…

La cura c’è, è efficace, ma in pochi la seguono. È paradossale, ma la BPCO, una delle patologie croniche più curabili, è anche quella con i pazienti meno diligenti. Spesso le terapie vengono assunte al bisogno per poi essere abbandonate nei momenti di tregua dei sintomi. La pandemia non ha migliorato questo aspetto.  Anzi. Otto pneumologi su 10 confermano dopo Covid sono ancora presenti alcune criticità collegate anche all’aderenza terapeutica,  come il follow up (57%), l’invio dei pazienti alla loro attenzione (42%), l’accesso alla diagnosi (28%). La maggior consapevolezza o l’apprensione ha di contro modificato il rapporto medico-paziente per il 40 per cento degli intervistati. Il paziente in primo luogo chiede di essere rassicurato: lo dice il 23 per cento dei clinici; si sottopone a controlli più di frequente (10%), anche attraverso la telemedicina (13%). 

Cosa c’è ancora da fare? 

Il 79 per cento degli intervistati ritiene che sia necessario strutturare una rete assistenziale che si basi sulla stretta collaborazione della sanità territoriale con quella ospedaliera. La stessa percentuale, coerentemente, pensa che sia un bene ripensare la sanità del territorio e le relative modalità di presa in carico dei pazienti con BPCO. Uno su due guarda inoltre agli strumenti digitali e ad infrastrutture adeguate per poter dare supporto e risposte adeguate ai pazienti.