L'Italia rinuncia a investire nella ricerca clinica e perde fior di miliardi. Il ministro Schillaci: «È arrivato il momento di invertire la rotta»

Il Convegno

L'Italia rinuncia a investire nella ricerca clinica e perde fior di miliardi. Il ministro Schillaci: «È arrivato il momento di invertire la rotta»

di redazione

Un euro investito in uno studio clinico ne genera quasi tre (2,95) in termini di benefici per il Servizio sanitario nazionale. E l’effetto leva determinato dai costi evitati per l’erogazione gratuita di cure sperimentali e prestazioni diagnostiche alle persone arruolate nei trial raggiunge addirittura 3,35 euro nelle sperimentazioni contro il cancro. È stato stimato, per esempio, un risparmio potenziale di circa 400 milioni di euro ogni anno soltanto nell’area dell’oncoematologia.

Il nostro Paese, però, investe in ricerca solo l'1,43% del Prodotto interno lordo, cioè meno della metà del 3% raccomandato dall'Unione europea, di cui appena lo 0,5% sono finanziamenti pubblici.

Al “Valore della ricerca clinica in oncologia, ematologia e cardiologia” è stato dedicato il convegno nazionale organizzato lunedì 27 marzo a Roma dalla Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi (Foce).

«La ricerca scientifica è la chiave di volta per garantire a ogni persona le migliori opportunità di cura e assistenza sanitaria» dice il ministro della Salute, Orazio Schillaci. «Permettere ai pazienti di accedere a farmaci innovativi e sicuri in tempi più brevi nonché garantire una maggiore competitività dell’Italia a livello globale – assicura - sono due priorità all’interno dell’agenda del mio mandato».

Come sottolinea Francesco Cognetti, presidente Foce, in cinque anni il numero di nuovi studi clinici autorizzati nel nostro Paese è comunque aumentato in maniera esponenziale: da 564 nel 2017 a 818 nel 2021, in un quinquennio sono stati 3.403. In particolare, l’oncologia assorbe ben il 40% dei trial (330 nel 2021).

«Ogni anno in Italia – precisa Cognetti - sono circa 40 mila i cittadini coinvolti nelle sperimentazioni. Due terzi dei trial interessano le neoplasie, le malattie ematologiche e cardiovascolari, che tra l’altro producono i due terzi della mortalità annuale. I vantaggi che derivano dalla ricerca sono a 360 gradi. I pazienti possono beneficiare di terapie innovative con grande anticipo rispetto alla loro disponibilità, ottenendo miglioramenti della sopravvivenza e qualità di vita. Le aziende sanitarie che ospitano centri sperimentali godono di un innalzamento dell’assistenza sanitaria e della crescita professionale del personale coinvolto. Inoltre, allo sviluppo di nuovi farmaci fa seguito una forte utilità sociale, per l’allungamento della vita media dei cittadini. La ricerca clinica è, pertanto, un motore di sviluppo economico e sociale per il Paese».

Resta però il fatto che se non ci fossero le aziende farmaceutiche, della ricerca clinica in Italia resterebbe ben poca cosa: degli oltre 750 milioni di euro investiti complessivamente ogni anno in questo settore tra pubblico e privato, ben il 92% viene proprio dalle farmaceutiche per studi che, ovviamente, guardano anche al profitto.

E se è vero che circa l’80% delle ricerche svolte nella Penisola è di origine internazionale e rappresenta perciò un’esportazione di servizi che contribuisce positivamente alla bilancia commerciale del nostro Paese, è altrettanto vero che, salvo eccezioni, i brevetti e i relativi profitti restano anch'essi all'estero.

Ciò non toglie che il progresso della ricerca contro i tumori negli ultimi cinquanta anni sia stato «incredibile» sostiene Carlo Croce, professore di Medicina interna alla Ohio State University (USA). «Mezzo secolo fa – ricorda - non sapevamo nulla della base molecolare dei tumori. Abbiamo poi scoperto che le neoplasie sono causate da alterazioni genetiche somatiche che si verificano durante la nostra vita. L’identificazione di queste mutazioni ha permesso lo sviluppo di farmaci mirati, le terapie a bersaglio molecolare. E l’ultima frontiera dell’immunoncologia, in alcuni casi, permette di cronicizzare malattie molto aggressive come il melanoma metastatico. Oggi, per sviluppare un farmaco anticancro innovativo, serve circa un miliardo di dollari. Se le aziende farmaceutiche non riuscissero a recuperare questi costi, non investirebbero più nella ricerca. La sfida – conclude Croce - è individuare il difficile compromesso tra l’impulso all’innovazione, che sostiene lo sviluppo di nuove molecole, e le esigenze di sostenibilità dei sistemi sanitari. Un patto fra industria, clinici, Istituzioni e Università è la via da seguire per dare nuovo impulso alla ricerca».