Tumore al seno, si può fare di più

Il report

Tumore al seno, si può fare di più

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Immagine: Sharon & Nikki McCutcheon from We currently live in the United States, we are paying it forward and spreading love worldwide!, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons
di redazione
L’Italia è tra i Paesi che garantisce il maggiore accesso ai farmaci, ma difettiamo in prevenzione e capacità di garantire gli stessi diritti a tutti i cittadini. Il bilancio del report europeo “Advancing Breast Cancer Care in Europe: A Roadmap to a Women-Centric Approach”

L’Italia fa bene, ma può fare ancora meglio contro il cancro al seno: investendo sulla prevenzione, contrastando le diseguaglianze di assistenza e di accesso ai farmaci tra Regioni, rafforzando le reti oncologiche. Sono le conclusioni che si traggono dal report europeo “Advancing Breast Cancer Care in Europe: A Roadmap to a Women-Centric Approach”, realizzato dall’Economist Impact con il supporto non condizionante di Daiichi Sankyo. 

Il tumore al seno è la neoplasia più diffusa tra le donne in Europa e in Italia, con oltre 55 mila nuove diagnosi ogni anno solo nel nostro Paese. Grazie ai progressi nella diagnosi e nelle terapie, la sopravvivenza a cinque anni ha raggiunto l’88%, superando il 90% nei casi individuati precocemente. Tuttavia, sono ancora numerose le sfide che le persone con tumore al seno affrontano ogni giorno e che incidono in maniera significativa sulla loro qualità di vita, sia durante il percorso di cura che negli anni successivi.

Il report, realizzato con il contributo di oltre 75 esperti di diverse discipline e nazionalità raccolto attraverso workshop e interviste condotte in Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, ha approfondito l'attuale panorama della gestione del cancro al seno in Europa in ogni fase del percorso di cura, dalla prevenzione alla diagnosi, al trattamento e follow-up, fino al post-cura, identificando le principali sfide ancora aperte e le opportunità di miglioramento.

I dati  confermano che il nostro Paese possiede ancora un sistema sanitario forte, capace di garantire l’accesso ai migliori trattamenti. Infatti, l'Italia si distingue infatti, tra i Paesi analizzati, per il numero di trattamenti oncologici disponibili (40 sui 48 approvati da Ema tra il 2019 e il 2022), al secondo posto dopo la Germania. Siamo inoltre tra i Paesi che garantiscono la piena rimborsabilità al maggior numero di trattamenti (il 78%, al secondo posto dopo la Germania e la Scozia). 

Anche sui tempi di approvazione dei farmaci, l’Italia si situa bene:  mediamente intercorrono 417 giorni tra l’approvazione europea e la disponibilità effettiva delle terapie oncologiche per i pazienti italiani, a fronte di 559 giorni. Tuttavia, proprio su questo fronte si comincia a notare una delle principali criticità italiane: la frammentazione su base locale. Infatti, la peculiarità del sistema italiano decentralizzato e il passaggio attraverso i prontuari terapeutici regionali tendono ad allungare i tempi di accesso alle nuove terapie, creando disuguaglianze territoriali significative.

Le differenze territoriali si osservano su tutti gli indicatori analizzati dal rapporto. L’adesione ai programmi di screening mammografico, per esempio. In media, nel Paese è al di sotto della soglia minima raccomandata dall’Ue del 70-75%, ma sussistono forti disparità regionali tra il Nord e il Sud e le isole, dove si registra la partecipazione più bassa. Inoltre, non tutte le Regioni hanno esteso il programma alla fascia 45-74 anni, come suggerito dalle raccomandazioni europee. 

La stessa dinamica si osserva per le Reti oncologiche. «Rivestono un ruolo fondamentale nella gestione delle pazienti con tumore della mammella, garantendo percorsi e interazioni organizzate tra le diverse strutture sanitarie presenti sul territorio, dalle case della salute alle strutture più complesse come gli ospedali, i policlinici plurispecialistici e gli Irccs», spiega Carmine Pinto, direttore della Struttura Complessa di Oncologia Medica, Comprehensive Cancer Centre dell’AUSL – IRCCS Istituto di Tecnologie Avanzate e Modelli Assistenziali in Oncologia di Reggio Emilia.

«Le Reti Oncologiche - continua - possono e devono garantire qualità, sicurezza e appropriatezza dei percorsi di cura, ma esistono purtroppo ancora oggi importanti disparità tra le diverse Regioni italiane nella loro implementazione». 

Da questo punto di vista, «è indubbia la necessità di potenziare modelli organizzativi che favoriscono la collaborazione professionale e organizzativa come le Reti oncologiche regionali, per garantire un continuum of care efficace e uniforme sul territorio. Un elemento cruciale è supportare l’integrazione tra i diversi momenti del percorso di cura e accompagnare le donne nel percorso stesso, ad esempio identificando punti unici d’accesso oppure assicurando una più stretta integrazione tra lo screening e l’accesso alle Breast Unit, che attualmente risulta ancora frammentato», afferma Francesca Ferrè, ricercatrice di Management Sanitario, Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università di Milano. 

Differenze sostanziali si osservano anche per i test diagnostici di precisione. «Questi strumenti, fondamentali sia nella fase precoce sia nella malattia metastatica, non sono uniformemente disponibili su tutto il territorio nazionale», spiega Carmen Criscitiello, professore associato al Dipartimento Oncologia ed Emato-Oncologia, Università di Milano, Istituto Europeo di Oncologia (IEO). «Un passo avanti significativo è stato compiuto con l'inclusione del sequenziamento di nuova generazione (NGS) nel nuovo tariffario nazionale, particolarmente rilevante per i pazienti con malattia metastatica. Tuttavia, persistono disparità regionali nell'implementazione: alcune regioni hanno attivato percorsi operativi efficaci, mentre altre sono ancora in ritardo. Nel contesto metastatico, dove l'NGS può cambiare radicalmente il percorso terapeutico e queste disparità risultano particolarmente critiche», prosegue. «Spesso, infatti,  l'approvazione di farmaci innovativi non è accompagnata dall'immediata disponibilità e rimborsabilità dei test molecolari necessari per la loro prescrizione, creando un paradosso in cui esistono terapie che non possono essere utilizzate per mancanza della diagnostica appropriata». 

Il rapporto, mostra inoltre, che l’impatto economico del cancro al seno è enorme: più di 1 miliardo di euro. Costi che ricadono sul servizio sanitario, sulla società, come conseguenza di invalidità civile e perdita di produttività lavorativa, ma soprattutto sulle malate e le famiglie. 

«La tossicità finanziaria è un “effetto collaterale” spesso sottovalutato del tumore al seno, con un forte impatto sulla vita delle donne che affrontano questa diagnosi, molte delle quali in piena età lavorativa», dice Flori Degrassi, presidente ANDOS Onlus Nazionale. «La malattia comporta lunghi periodi di assenza dal lavoro per seguire le terapie e gestire gli effetti collaterali, a cui si aggiungono in molti casi i costi per gli spostamenti e l’accompagnamento ai centri di cura. Difficoltà che gravano sulla situazione economica delle pazienti, soprattutto di coloro che affrontano la malattia da sole o con figli a carico, e che possono incidere sulla loro qualità di vita già compromessa dalla malattia. In alcuni casi - aggiunge - il rischio di perdere il lavoro e il peso finanziario sono talmente rilevanti che, sommati agli effetti collaterali dei farmaci, possono persino portare all’abbandono delle cure», conclude. 

Da questo punto di vista, il report evidenzia quindi l’urgenza di garantire un’assistenza onnicomprensiva che vada oltre la cura oncologica, integrando nel percorso di cura aspetti come la sessualità, la preservazione della fertilità, il supporto psico-oncologico e finanziario, il sostegno al reinserimento lavorativo. Non solo durante le cure, ma anche negli anni che seguono la fine del trattamento. In questo senso, un traguardo significativo è stata l’introduzione nel 2023 della Legge sull’oblio oncologico

«La legge sull’oblio oncologico, entrata in vigore in Italia nel gennaio dello scorso anno, segna un cambiamento culturale prima ancora che normativo. Per la prima volta, viene sancito nero su bianco che dal cancro si può guarire, offrendo una prospettiva di speranza anche a chi sta ancora affrontando la malattia e contrastando le discriminazioni ingiustificate legate a una patologia pregressa», afferma Elisabetta Iannelli, vicepresidente di AIMaC e segretario generale di FAVO. «Grazie anche all’impegno delle associazioni, sono stati introdotti importanti decreti attuativi, come il certificato di guarigione e la riduzione dei tempi per il riconoscimento della guarigione in alcune patologie. Per il tumore al seno negli stadi iniziali, ad esempio, si potrà essere considerati guariti già un anno dopo la fine dei trattamenti, se non ci sono evidenze di malattia», continua. «Ulteriori misure riguardano la tutela nell’accesso alle adozioni dei minori, mentre sono in via di finalizzazione provvedimenti specifici sul riconoscimento di politiche attive per l’inclusione lavorativa e la regolamentazione in ambito assicurativo. Sebbene l’Italia sia arrivata dopo altri Paesi europei alla legge sull’oblio oncologico, ha introdotto importanti elementi innovativi, ampliando ad esempio la tutela lavorativa, la possibilità di adottare un figlio o una maggiore agilità normativa nella definizione dei termini ridotti per attestare la guarigione». 

La legge, dunque, «segna una vera e propria rivoluzione dalla diagnosi di tumore come “sentenza definitiva” del passato alla consapevolezza che il cancro è oggi una malattia curabile e che chi è guarito ha diritto a una vita senza discriminazioni», conclude Iannelli. 

«Partendo dall’ascolto di clinici, ricercatori e associazioni pazienti, questo rapporto europeo ci ha restituito una fotografia accurata e aggiornata dello stato dell’arte della gestione del tumore al seno in Europa e nel nostro Paese offrendoci importanti spunti di riflessione e suggerendo possibili percorsi di miglioramento da intraprendere», dichiara Mauro Vitali, head of Oncology di Daiichi Sankyo Italia. «Crediamo fermamente che per affrontare il cancro sia indispensabile adottare un approccio olistico che consideri le specificità di ogni persona nel suo percorso di cura. Per questo collaboriamo costantemente con società scientifiche, associazioni, professionisti sanitari, stakeholder e tutti coloro che possono contribuire alla ricerca di soluzioni efficaci, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici e l’esperienza di chi affronta il tumore al seno», conclude Vitali. 


 

 

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