Oltre 18 mila operatori sanitari aggrediti in un anno. Tra le cause le difficoltà del Servizio sanitario nazionale

Rapporto Fnomceo-Censis

Oltre 18 mila operatori sanitari aggrediti in un anno. Tra le cause le difficoltà del Servizio sanitario nazionale

Covid-19_San_Salvatore_09.jpg

Immagine: Alberto Giuliani, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
di redazione
A pazienti e familiari i professionisti della salute appaiono, anziché le vittime, i responsabili di una crisi provocata da scelte di altri. Le difficoltà del Ssn e le aspettative eccessive, dice il presidente Fnomceo, Filippo Anelli, «fanno da incubatore allo stato di frustrazione dei cittadini»

Nel 2023 sono stati 18.213 gli operatori sanitari coinvolti in aggressioni: nel 26% dei casi si è trattato di aggressioni fisiche, circa il 68% sono state verbali e il 6% contro la proprietà. Il 64% delle vittime sono uomini, il 36% donne. Il 60% delle violenze ha riguardato infermieri, il 15% medici, il 12% operatori sociosanitari e il 3% altro personale non sanitario. Le aggressioni sono state perpetrate nel 69% dei casi da pazienti, nel 28% da parenti e caregiver, nel 3% da una persona non legata ai pazienti. Il 78% delle aggressioni è avvenuta in ospedali e il 22% in strutture del territorio.

Sono dati che si trovano nel Terzo Rapporto Fnomceo-Censis “Centralità del medico e qualità del rapporto con i pazienti per una buona sanità: alle origini della criticità della condizione dei medici nel Servizio sanitario”. Una sintesi dei principali risultati è stata presentata mercoledì 12 marzo a Foggia, nell’ambito delle celebrazioni della Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo) per la Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari.

Il Rapporto incrocia i dati provenienti da fonti istituzionali come Istat e ministero della Salute con quelli di due indagini condotte in parallelo: la prima su un campione nazionale rappresentativo di mille cittadini maggiorenni, la seconda su un panel di cinquecento medici.

Dove nasce la frustrazione dei cittadini in sanità

Nove italiani su dieci (l’87,3%) quando stanno male vorrebbero tempo per dialogare con il medico, avere informazioni per capire la diagnosi, le terapie, la prognosi. Nella realtà, però, al 48,4% degli assistiti il medico ha dovuto concedere troppo poco tempo e al 47,8% non ha dato le informazioni di cui aveva bisogno. Il 52,2% ha vissuto, per sé o per un parente, un’esperienza negativa nel Pronto soccorso, con lunghissime attese e carenza di informazioni, tanto che il 35,1% ha detto di non sentirsi rispettato nel rapporto con la sanità. Il 66,4% ha comunque verificato la forte carenza di medici e infermieri nelle strutture sanitarie e il 72,3% un progressivo peggioramento nel Servizio sanitario. Il 90,4% degli italiani apprezzerebbe nei Pronto Soccorso e negli ospedali la presenza di mediatori, persone di riferimento competenti che informano, si relazionano con pazienti e familiari.

Senza investimenti tutto peggiorerà

Due medici su tre, di fronte alle richieste di attenzioni di pazienti e familiari, non hanno mai abbastanza tempo per dialogare o dare informazioni e spiegazioni. Del resto, il 66% lavora in strutture o servizi con forti carenze di personale e il 51,8% deve ricorrere ad attrezzature obsolete o non perfettamente funzionanti. Non sorprende che secondo nove medici su dieci (90,4%) non bastano ritocchi per rilanciare il Servizio sanitario, ma sono indispensabili investimenti massici, prolungati, dando priorità alle condizioni del personale.

La crescente paura dei medici sul posto di lavoro

Quasi la metà (41,2%) dei medici non si sente più sicuro nello svolgere il proprio lavoro a causa delle violenze, il 18% ha paura di lavorare di notte, l’11,8% di recarsi nel suo luogo di lavoro. Per il 91,2% dei medici è sempre più difficile e stressante lavorare nel Servizio sanitario. Inoltre, il 74,6% dei medici sente di lavorare troppo e si sente psicologicamente a rischio burn-out (il 78,4% tra chi lavora negli ospedali).

Le difficoltà con i pazienti vissute dai medici

Il ridimensionamento che il Servizio sanitario nazionale sta subendo da almeno un ventennio fa da contesto alla deriva conflittuale, a volte violenta, del rapporto medico-paziente. Infatti, il 25,4% dei medici ha subito minacce da pazienti o dai loro familiari (il 34,1% dei medici che lavorano tra ospedali e ambulatori), il 16,4% ha subito denunce, il 5,8% è stato perseguitato da hater sui social network per ragioni legate al lavoro, il 3,8% ha subito qualche forma di violenza fisica. Ormai il 42,8% dei medici ha paura delle reazioni di pazienti o familiari alle sue decisioni e il 70,2% si sente stressato proprio dalle difficoltà nel rapporto con pazienti e familiari.

Sentirsi capro espiatorio di una situazione in cui si è vittime

Il 71,8% dei medici si sente il capro espiatorio delle carenze del Servizio sanitario. Da eroi a colpevoli di quel che non funziona: è questa la traiettoria psicologica insopportabile vissuta da tanti medici in questo quadriennio. Del resto, il 51% sente di essere esposto in totale solitudine di fronte ad aggressività o controversie con i pazienti o familiari.

Io me ne andrei

Oltre la metà (il 51,4%) dei medici dichiara esplicitamente di avere la tentazione di andare a lavorare in un altro Paese; la quota è del 53% tra medici ospedalieri e oltre il 68% tra coloro che lavorano in ospedale e in ambulatorio. Inoltre, il 32,6% vorrebbe cambiare posto di lavoro arriva al 38% tra chi lavora solo negli ospedali). D’altro canto, l’84,8% dei medici (l’89,5% tra gli ospedalieri) ritiene di non guadagnare abbastanza per quel che fa.

Il ridimensionamento del Servizio sanitario nazionale

Nel 2003 i punti di Pronto soccorso erano 659 nel 2003, venti anni dopo, nel 2023, erano scesi a 433: 226 in meno. Nello stesso arco temporale il totale degli accessi al Ps è sceso da 22,7 milioni a 18,4 milioni, ma il numero medio per ciascun Pronto Soccorso è salito da 34.463 a 42.386: quasi 8 mila in più all'anno (+23%). Tra 2003 e 2023 sono diminuite anche le strutture di ricovero: da 1.281 a 996 (285 in meno) e sono stati tagliati 59 mila posti letto nelle degenze ordinarie (da 233.576 a 174.663). I medici di famiglia sono 37.983 nel 2003: 9 mila in meno rispetto a venti anni fa. Erano in media 8,2 per 10 mila abitanti, sono 6,4 nel 2023. Quelli con più di 1.500 assistiti erano meno del 16% nel 2003, sono il 51,7% nel 2023. 

Un riferimento solido: il medico di medicina generale

In un contesto di crisi del Servizio sanitario e in un momento di incrinatura nel rapporto medico-paziente, il medico di famiglia tiene. 

Per l’88,9% dei cittadini è importante perché lo aiuta a trovare soluzioni adatte alle proprie esigenze. Lo pensa in particolare l’88,2% dei residenti al Nord Ovest, il 91,5% al Nord Est, l’85,4% al Centro e il 90% al Sud e Isole. 

Inoltre, per il 76% è essenziale avere il medico vicino casa (75,6% dei residenti al Nord Ovest, 77,3% al Nord Est, 76,5% al Centro e 75,3% al Sud e Isole). Il 71,8% non rinuncerebbe mai al proprio medico di fiducia, opinione nettamente prevalente in modo trasversale ai gruppi sociali e ai territori.

Il sentiment generale

Dal Rapporto e dai sondaggi emerge un desiderio generalizzato di rilancio del Ssn.

L’86,8% degli italiani ritiene, tra l'altro, che nell’investire sul rilancio del Servizio sanitario un’attenzione particolare debba essere data alla tutela e potenziamento dell’umanità, intesa come maggiore attenzione al malato come persona e più ascolto nel rapporto medico-paziente. D'altra parte, il 72,4% si dichiara convinto che algoritmi e intelligenza artificiale non potranno mai sostituire il rapporto umano diretto col medico.

L’urgenza di un impegno di rilancio di lungo periodo

Il 90,4% degli italiani condivide l’idea che ormai ci vuole un impegno di lunga durata, una intenzionalità condivisa con forza superiore a quella che ha portato alla fragilizzazione del Servizio sanitario.

«Dalle esperienze convergenti di pazienti e medici – sottolinea in conclusione Filippo Anelli, presidente della Fnomceo - emerge che per sradicare la violenza sugli operatori sanitari, oltre al pugno di ferro sui responsabili di atti violenti, occorre un massiccio rilancio del Servizio sanitario che allenti la pressione che nel quotidiano la domanda sanitaria dei cittadini esercita su strutture e servizi e che è la prima causa della difficile condizione lavorativa di medici, infermieri e altro personale sanitario. Del resto – ricorda - come mostrato nelle prime due edizioni del Rapporto, investire in sanità significa anche promuovere lo sviluppo dell’economia italiana, visto che ogni euro di spesa sanitaria pubblica ne genera quasi due di valore nella produzione dei vari settori economici attivati. Inoltre, il rilancio del Servizio sanitario è oggi l’obiettivo più desiderato e condiviso dagli italiani – conclude Anelli - che confermano l’alta fiducia nei medici e l’amore per la nostra sanità».