Liste d'attesa: sono spesso le prestazioni più urgenti a superare i tempi di legge
Solo il 40% circa degli italiani alle prese con le liste d’attesa lo sa, ma la normativa prevede tempi massimi di attesa per ottenere l'appuntamento per una visita o un esame. Purtroppo, però, più della metà delle visite (52%) e più di un terzo degli esami (36%) vanno oltre questi tempi massimi, con attese medie di circa 105 giorni.
La cosa diventa ancora più grave se si pensa che tra le prestazioni con le attese maggiori ce ne sono alcune particolarmente delicate per individuare problemi come i tumori; per esempio la mammografia o la colonscopia, per cui c'è un'attesa media di cinque mesi.
Altroconsumo ha svolto un’indagine sulle liste d'attesa in sanità, intervistando nel novembre scorso 1.086 persone dai 18 anni in su che negli ultimi due anni hanno provato a prenotare una visita medica con il Servizio sanitario nazionale.
Nell'indagine è stato chiesto tra l'altro quale classe di priorità fosse indicata sulle ricette delle prestazioni che hanno cercato di prenotare, con il risultato che sarebbero proprio le visite e gli esami più urgenti ad andare più spesso fuori tempo massimo: il 76% delle visite con priorità “U - urgente” (cioè da fare entro 72 ore) e il 76% delle visite e degli esami con priorità “B - breve” (da fare entro dieci giorni). In tre casi su quattro, insomma, chi aveva bisogno di una visita o un esame in tempi brevi per un problema serio, non si è visto garantire questo diritto.
Dall’indagine Altroconsumo emerge che troppo spesso per esami e visite bisogna aspettare anche più di un anno. Per esempio, ad andare oltre i dodici mesi di attesa sono il 18% delle mammografie, seguite da visite dermatologiche, gastroenterologiche e oftalmologiche (12%).
Inoltre, il 40% degli intervistati ha dichiarato che il proprio problema è peggiorato mentre era in attesa della visita di cui aveva bisogno. Rispetto all’indagine precedente svolta da Altroconsumo nel 2018, la percentuale di intervistati insoddisfatti dei tempi di attesa è passata dal 50% al 64%.
Il 73% degli italiani che hanno provato a prenotare una vista o un esame con il Servizio sanitario nazionale ha riscontrato problemi. Il principale è risultato quello della lunga attesa in qualsiasi struttura del proprio territorio (30%), ma non è stato l'unico: nel 26% dei casi non è stato possibile prenotare alcun appuntamento a causa dell'indisponibilità dell'agenda e della mancanza di date disponibili, nonostante la legge lo vieti.
Un altro disagio riguarda la lontananza delle strutture (13%), dal momento che gli “ambiti territoriali di garanzia”, possono essere vasti. Può essere difficile anche contattare il Cup o la struttura (11%), con attese lunghe, numeri sempre occupati o linee che si interrompono dopo inutili attese.
A causa dei lunghi tempi di attesa, nel 30% dei casi le persone sono ricorse ai privati, spendendo in media 138 euro. Questa cifra rappresenta solo una media, poiché sono state registrate spese massime che arrivano fino a 725 euro. Per far fronte a queste spese un aiuto proviene dalle assicurazioni sanitarie: il 25% degli intervistati ne possiede una, nella maggior parte dei casi legata al proprio lavoro.
«Le lunghe attese per visite ed esami – sostiene Federico Cavallo, responsabile Relazioni esterne di Altroconsumo - dipendono da tre fattori: anni di tagli che hanno ridotto fondi e personale, una pianificazione inadeguata che ha aggravato la carenza di medici e infermieri e un’elevata inappropriatezza prescrittiva, che incide sul 20-30% delle richieste. I cittadini – prosegue - si trovano così di fronte a un paradosso inaccettabile: mentre con il Servizio sanitario nazionale si può aspettare oltre un anno, pagando nella stessa struttura si ottiene un appuntamento in tempi molto più brevi. L’intramoenia, così come altri servizi privati o le assicurazioni sanitarie, devono essere un servizio complementare, non un’alternativa alla sanità pubblica». Per Cavallo, infine, «affrontare la crisi del Servizio sanitario nazionale con interventi strutturali, aumentando i fondi, migliorando la pianificazione e garantendo l'equità sul territorio è quindi sempre più urgente. Altrimenti – conclude - si rischia di rinunciare definitivamente a un diritto costituzionale fondamentale: la tutela della salute per tutti».