Lotta al cancro, il futuro della medicina di precisione è “provarle tutte”

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Lotta al cancro, il futuro della medicina di precisione è “provarle tutte”

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Immagine: http://www.cgpgrey.com, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons
di redazione
Su Nature on line viene descritto un nuovo approccio, apparentemente poco scientifico, per individuare il farmaco giusto per il paziente giusto: tentare la qualunque. Meno sofisticato della profilazione genomica del tumore, ma potrebbe addirittura funzionare meglio. La procedura però è costosa

La medicina di precisione nel trattamento del cancro potrebbe fare un passo avanti facendone uno indietro. Perché, apparentemente, il nuovo approccio che si sta sviluppando per individuare il farmaco giusto per il paziente giusto somiglia molto a “provarle tutte” e sperare che qualcosa funzioni. Una strategia non particolarmente elegante che generalmente viene disdegnata dagli scienziati. Il cambio di paradigma è evidente: piuttosto che analizzare il profilo genetico del tumore e, in base al risultato, scegliere la terapia più indicata, si procede per tentativi ed errori “bombardando” le cellule cancerose del paziente prelevate e coltivate in laboratorio con tutti i farmaci potenzialmente efficaci e si osserva “in diretta” quale funziona meglio.

È la tecnica, definita medicina di precisione funzionale, che stanno sperimentando alla Medical University di Vienna su tumori ematologici. I ricercatori hanno testato 130 sostanze sulle cellule cancerose di un paziente affetto da un tumore del sangue refrattario ai trattamenti disponibili. Una delle molecole messe alla prova ha dato un risultato positivo. Si trattava di un inibitore della chinasi approvato per il trattamento del cancro alla tiroide che probabilmente non sarebbe mai stato suggerito come terapia per un tumore ematologico. Il paziente trattato con quel farmaco ha ottenuto la remissione della malattia. 

Questa caccia al farmaco giusto in cui è lecito provare la qualunque si è rivelata risolutiva in altri casi, come si legge in un articolo su Nature online.  Due studi recenti, uno su Cancer Discovery e uno su Lancet Hematology, hanno dimostrato che più della metà dei pazienti affetti da tumori del sangue ha ottenuto periodi più lunghi di remissione seguendo la terapia selezionata con  l’approccio della medicina funzionale. Un risultato superiore a quello ottenuto con le terapie basate sull’analisi genomica dei tumori che sono molto efficaci per alcuni tipi di tumore ma che in assoluto procurano benefici solo al 10 per cento dei pazienti. 

Nello studio che mette a confronto i due approcci, quello della medicina funzionale e quello dell’analisi genomica, la tattica di provarle tutte sembra più efficace soprattutto quando l’analisi genetica del tumore non aiuta a individuare la terapia giusta. 

La procedura che prevede di testare il maggior numero di farmaci possibile però non è così semplice come sembra. Coltivare cellule cancerose in laboratorio è un processo lungo e costoso che richiede attrezzatura sofisticata e personale specializzato. I ricercatori inseriscono nelle piastre  le cellule estratte da tessuti vivi subito dopo essere stati rimossi dai pazienti. In ogni pozzetto delle piastre viene testato un farmaco diverso, agenti chemioterapici, farmaci mirati agli enzimi, terapie immunomodulanti e altro ancora. Dopo una notte di incubazione si riesce a scoprire quale farmaco è attivo contro il cancro e quale no.

In uno studio dell'Università di Helsinki, ad esempio, i ricercatori hanno scoperto che lo screening farmacologico sulle cellule leucemiche del paziente forniva informazioni sul tumore più velocemente rispetto alla profilazione genomica e portava anche a migliori risposte cliniche. Su 29 persone affette da leucemia mieloide acuta resistente al trattamento, 17 hanno risposto alle terapie basate sullo screening farmacologico e sono entrate in remissione.

Nel caso dei tumori solidi, però, che sono molto influenzati dall’ambiente extracellulare è più difficile riuscire a replicare le condizioni della malattia al di fuori dell’organismo e lo screening farmacologico non  sempre è possibile. C’è chi ha provato ad ovviare a questo inconveniente ricorrendo ad organoidi, modelli di tessuto tridimensionali fatti crescere in laboratorio ricavati dalle cellule tumorali del paziente che dovrebbero rappresentare un modello affidabile del complesso ambiente tumorale. Per rendere ancora più realistico il modello di tumore solido sui cui testare i farmaci, si è provato a inserire campioni di tessuto tumorale del paziente nei topi, ma questa strategia non ha dato buoni risultati visto che molti tipi di tumore non crescono negli animali oppure impiegano molto tempo per raggiungere uno stadio di sviluppo utile per la ricerca dei farmaci. 

È andata meglio a chi ha proposto lo screening dei farmaci su campioni tumorali coltivati in embrioni di pollo in via di sviluppo o a chi ha usato l’ingegneria genetica per ricreare le caratteristiche uniche del tumore di un paziente in un moscerino della frutta.

Nutrendo le mosche con cibo contenente vari farmaci si può arrivare a individuare il regime terapeutico che sopprime la crescita del cancro. È così che un gruppo di ricercatori  ha identificato un nuovo cocktail di tre farmaci, un composto di un trattamento per il linfoma, un medicinale per la pressione sanguigna e una terapia per l’artrite, che è stato in grado di stabilizzare il cancro per un anno in  un uomo affetto da un raro tumore delle ghiandole salivari.

Testando i farmaci su mosche geneticamente modificate che ospitavano tessuti tumorali umani lo stesso team di ricerca è arrivato a scoprire che l’abbinamento di un farmaco per il melanoma con un agente di rafforzamento delle ossa rappresentava la migliore opzione terapeutica per un paziente con una forma aggressiva di tumore al colon. Una start-up biotecnologica di Londra chiamata Vivan Therapeutics offre questo servizio su misura: le mosche personalizzate e lo screening farmacologico costano 15mila dollari.

Al Brigham and Women’s Hospital hanno invece sviluppato una procedura di screening farmacologico in situ. Minuscoli dispositivi impiantabili consentono ai medici di testare i farmaci direttamente sui tumori dei pazienti mentre il cancro è ancora all’interno del corpo. Due studi hanno dimostrato la fattibilità di questa strategia nelle persone affette da cancro al polmone e al cervello. I chirurghi hanno inserito nei tumori minuscoli dispositivi per il rilascio di farmaci caricati con dosi minime di 12 farmaci mentre le persone venivano sottoposte a un intervento chirurgico di rimozione del cancro. Tali tessuti, insieme al dispositivo stesso, sono stati poi rimossi al termine della procedura e successivamente ispezionati per individuare gli indicatori molecolari dell’azione del farmaco. Finora, i dati raccolti non sono stati utilizzati per indirizzare i trattamenti, ma le analisi retrospettive hanno suggerito potenziali benefici nel caso in cui si fossero usate le indicazioni fornite dai tessuti.

I ricercatori del University of Mississippi Medical Center hanno dimostrato che i pazienti con tumori aggressivi al cervello trattati con farmaci selezionati con lo screening di laboratorio vivevano più a lungo di quelli sottoposti a terapie decise dai medici con altri criteri. 

Non si possono trascurare, in conclusione, alcune criticità della nuova strategia. Potrebbe accadere infatti che il farmaco individuato come più efficace non sia facilmente disponibile, oppure sia troppo costoso, oppure non sia stato ancora autorizzato per il trattamento di quel tipo di tumore. È una possibilità da tenere in considerazione prima di avviare questa procedura costosa che almeno per ora è a carico dei pazienti ovunque nel mondo.