Over 65 a rischio cancro e infarto se manca l'albumina
Bassi livelli di albumina sono collegati a un rischio maggiore di morte nelle persone che hanno superato i 65 anni: a questa conclusione è arrivato uno studio italiano condotto su 18 mila persone dall'Università La Sapienza di Roma in collaborazione con l'Istituto Neuromed di Pozzilli, l'Università LUM Giuseppe Degennaro e Mediterranea Cardiocentro di Napoli. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista eClinical Medicine-Lancet.
La relazione tra ipoalbuminemia (bassi livelli di albumina nel sangue, inferiori a 35 g/L) e un aumento del rischio di mortalità per malattie vascolari e cancro in individui anziani è stata osservata anche dopo aver escluso fattori come malattie renali o epatiche e stati infiammatori acuti, che possono influenzare i livelli di albumina.
«Questo studio - sottolinea Licia Iacoviello, direttrice del Dipartimento di Epidemiologia e prevenzione dell’Istituto Neuromed - può avere implicazioni dirette sulla pratica clinica e sulla prevenzione. La misura dell’albumina nel sangue è infatti un test semplice e poco costoso. È quindi da considerare un’analisi di primo livello, che permetterebbe di porre una maggiore attenzione clinico-diagnostica verso gli individui anziani potenzialmente a rischio. Il nostro studio fornisce anche un valore di riferimento che può guidare il medico nell’interpretazione della misura di albumina».
Un dato particolare emerso della ricerca è che l'ipoalbuminemia è correlata a un livello socioeconomico più basso, sollevando un'importante questione sociale poiché per motivi economici gli anziani optano spesso per una dieta meno salutare, scegliendo alimenti con proteine meno nobili.
«La possibilità di ottenere indicazioni predittive su malattie con alta incidenza e elevato rischio di morte come quelle cardiovascolari o i tumori attraverso un esame semplice e ampiamente disponibile, anche a basso costo, rappresenta una importante conquista per la medicina moderna» osserva la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni. Lo studio, aggiunge, non solo «conferma e consolida l’eccellenza delle attività scientifica delle università e degli enti di ricerca italiani in campo medico», ma «ha anche un importante valore sociale attribuibile alle possibili ricadute nell’ambito della prevenzione».