Parkinson: incoraggianti le ricerche italiane sulla stimolazione dei piedi
La stimolazione meccanica della pianta dei piedi è una tecnica promettente per migliorare i sintomi della malattia di Parkinson. Soprattutto nelle fasi più avanzate, quelle in cui la qualità della vita peggiora e i farmaci possono perdere di efficacia.
L’ottimismo, accompagnato dalle doverose cautele, viene da alcuni studi condotti principalmente da ricercatori italiani, presentati in anteprima a Roma il 23 novembre: una sorta di antipasto della Giornata Nazionale Parkinson che si celebra il 28 novembre in tutta Italia con incontri ed eventi di vario genere.
La tecnica presa in esame dagli scienziati si chiama AMPS (Automated Mechanical Peripheral Stimulation) ed è una stimolazione meccanica non invasiva dei piedi (a questo si riferisce il termine “Periferica”, per distinguerla dalle stimolazioni del cervello usate nelle tecniche chirurgiche), effettuata con un dispositivo automatico chiamato GONDOLA. Sviluppata in origine da ricercatori svizzeri, è la novità più recente nel trattamento dei sintomi del Parkinson.
A presentarla a Roma sono stati alcuni membri del gruppo di ricerca che ne sta studiando e valutando l’efficacia: Fabrizio Stocchi, responsabile del Centro per la cura e la diagnosi del Parkinson dell’IRCCS San Raffaele Pisana di Roma, Carlo Cosimo Quattrocchi, ricercatore di Diagnostica per immagini e neuroradiologia all’Università Campus Biomedico di Roma, e Maria Francesca De Pandis, responsabile del Centro Parkinson del San Raffaele di Cassino.
GONDOLA consiste in pratica in un paio di scarponi meccanici, da indossare direttamente sui piedi nudi stando fermi e sdraiati – una posizione che ne permette l’uso anche ai pazienti più gravi. Una seduta dura circa un minuto e mezzo, durante il quale il dispositivo stimola in modo automatico determinate aree della pianta di entrambi i piedi. L’indicazione medica è di ripetere la seduta due volte alla settimana: non di meno perché l’efficacia inizia a diminuire dopo circa 3 giorni, ma neanche di più perché non sono stati osservati benefici aggiuntivi in caso di una frequenza maggiore.
Anche se gli studi clinici sono stati condotti su pazienti ai quali era stata temporaneamente sospesa la terapia farmacologica, in modo da evidenziare i benefici dovuti esclusivamente alla stimolazione, i medici sottolineano che l’AMPS va somministrata in associazione ai farmaci, e non come alternativa.
Uno degli studi presentati, appena pubblicato sul Journal of Parkinson’s Disease, dimostra i benefici dell’AMPS sulla camminata: dopo una singola seduta è stato registrato un miglioramento medio del 14,85 per cento nella lunghezza del passo, del 14,77 per cento nella velocità della camminata e del 29,91 per cento nella propulsione, rispetto alle misurazioni effettuate prima della seduta e al campione di controllo. E, soprattutto, sottolinea De Pandis, «i pazienti che hanno mostrato i risultati migliori sono quelli in fase più avanzata». Un dato tanto più incoraggiante dato che la difficoltà a camminare è uno dei sintomi più importanti del Parkinson: anche se nell’immaginario collettivo è il tremito l’emblema della malattia, chiarisce Stocchi, «il 27 per cento dei pazienti non presenta tremore. Invece tutti hanno un rallentamento nei movimenti». Il che è particolarmente disagevole per camminare: si va dal rischio di cadute fino, nei casi più gravi, al cosiddetto freezing, cioè l’incapacità improvvisa di muovere i piedi e la sensazione di averli incollati a terra.
Un secondo studio, coordinato da Stocchi e pubblicato sull’International Journal of Engineering and Innovative Technology, ha misurato in un campione di pazienti il tempo necessario ad alzarsi da una sedia, percorrere la distanza di tre metri, girarsi, tornare alla sedia e sedersi di nuovo. I risultati hanno mostrato un miglioramento associato all’AMPS in tutti i parametri motori, e in alcuni di essi è stato superiore al 50 per cento rispetto ai valori di base.
Un altro studio, condotto ancora da Stocchi e pubblicato sull’International Journal of Rehabilitaion Research, è uno studio pilota sul trattamento prolungato per 4 settimane, finora la durata massima esaminata a livello scientifico. E i risultati sono promettenti: come spiega lo stesso Stoccchi, «l’effetto della stimolazione ripetuta è meno clamoroso, ma si mantiene in percentuali significative». È un dato importante perché può far sperare che l’andamento si mantenga anche su periodi più lunghi, anche se Stocchi invita a «evitare ogni enfasi miracolistica».
I benefici della stimolazione meccanica erano noti da tempo. Stocchi cita il neurologo francese Jean-Martin Charcot, «uno dei pionieri nello studio del Parkinson, che già nell’Ottocento aveva scoperto che ai pazienti faceva bene essere trasportati in carrozza e sballottati sul selciato sconnesso di Parigi», e in seguito aveva costruito una sorta di poltrona vibrante allo stesso scopo.
Quello che era meno atteso era il ruolo dei piedi. Secondo De Pandis, «l’efficacia della stimolazione della pianta dei piedi ha sorpreso gli stessi medici», perché si tratta del sistema nervoso delle parti del corpo più lontane dal cervello.
Eppure i benefici della stimolazione ai piedi sono stati osservati anche sul sistema nervoso centrale: in un quarto studio, condotto da Quattrocchi e pubblicato su PlosOne, dopo la seduta di stimolazione i pazienti sono stati sottoposti a un esame con la risonanza magnetica funzionale. «È emerso come la stimolazione facilita l’aumento delle connessioni neuronali nelle aree cerebrali che i malati di Parkinson attivano abitualmente per compensare i deficit causati dalla malattia», afferma Quattrocchi.
In Italia l’AMPS è già disponibile in diversi centri specializzati, che garantiscono 4 settimane di trattamento gratuito: sono diffusi soprattutto al Nord ma anche al Centro-Sud, per esempio a Roma. «I centri sono ancora poco capillari sul territorio», riconosce Francesco Cecchini Manara, fondatore e amministratore delegato dell’azienda costruttrice del GONDOLA, «ma l’importante non è tanto la vicinanza al luogo di abitazione, quanto la possibilità di ripetere la seduta due volte a settimana». Per chi volesse, poi, il dispositivo è in commercio, al prezzo di 6.450 euro. Certo non è una cifra alla portata di tutti, ma il servizio sanitario potrebbe dare una mano: l’avvio è stato già dato in Lombardia.
Le tecniche innovative per il trattamento del Parkinson rivestono un interesse particolare per vari motivi: innanzitutto perché ancora non esiste una cura risolutiva della malattia, e quindi ridurre i sintomi e rallentare la progressione sono le opzioni migliori; in quest’ottica le stimolazioni meccaniche integrano le terapie farmacologiche quando perdono di efficacia. Inoltre cresce l’attenzione, sia da parte della comunità scientifica sia della società in generale, perché è in aumento il numero dei malati: un fenomeno che non è legato solo all’invecchiamento della popolazione, ma anche a un abbassamento dell’età alla quale si manifesta la malattia. Se fino a poco tempo fa l’età media di esordio era fra i 59 e i 62 anni, negli ultimi anni si sta abbassando e oggi un paziente su 10 ha meno di 40 anni e uno su 4 meno di 50.
I risultati positivi di questi studi potrebbero aprire la strada ad altre applicazioni della tecnica. Secondo Quattrocchi «ci sono elementi che fanno pensare a una possibile efficacia dell’AMPS anche per altre malattie che presentano sintomi simili al Parkinson, ma per ora vengono da segnalazioni di casi isolati: non ci sono ancora studi scientifici in merito». Invece non sono stati registrati effetti di alcun tipo in soggetti sani: tanto per dissuadere in partenza chi avesse pensato a una sorta di “doping meccanico”.