Hiv in Europa. Preoccupano i Paesi dell’Est: una diagnosi su due arriva a infezione avanzata
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Nel 2019 nei 53 Paesi della regione europea dell'Oms, che comprende oltre all’Europa (con i 30 Paesi dell’Ue e dell’Area economica europea) tutti i Paesi dell'Est, compresa la Russia, ci sono state 137 mila nuove diagnosi di Hiv. Di queste 25mila sono state registrate in Europa. Continua il trend di crescita che ha portato a un aumento del 19 per cento dei contagi negli ultimi dieci anni. Sono i dati dell’ultimo rapporto “HIV/AIDS surveillance in Europe 2020” a cura dell’Ecdc e dell’Ufficio europeo dell’Oms riferiti al 2019 nel periodo appena precedente alla pandemia.
Il monitoraggio avviene annualmente da più di dieci anni. L’anno scorso, con i dati relativi al 2018, il totale dei nuovi contagi era superiore (141.500) a quello attuale ma i Paesi monitorati erano di più (50) rispetto a quelli dell’ultima edizione (47). In percentuale i dati degli ultimi due rapporti sono simili: nel 2018, nella Regione europea l’incidenza era 16,2 casi per 100mila abitanti, nel 2019 è di 15,6. La maggior parte dei nuovi casi (80%) si è verificata nei Paesi dell’Est dove si segnalano le principali falle del sistema di sorveglianza. Qui, dove il tasso di incidenza è di 41,7 ogni 100mila abitanti, una diagnosi su due (53%) arriva a uno stadio avanzato dell’infezione quando il sistema immunitario è già seriamente compromesso. Le diagnosi tardive, inoltre, sono la principale causa della diffusione del virus in questi Paesi.
«Nonostante l’infezione da Hiv si possa prevenire, continua a esserci un numero significativo di contagi nella Regione Europea dell’Oms», scrivono gli autori del rapporto. Nei Paesi occidentali e centrali dell’Europa l’incidenza scende a 5,4-3,7 per 100mila abitanti. I numeri più alti di nuove diagnosi di HIV sono stati registrati a Malta, Lettonia ed Estonia. I più bassi sono in Slovacchia e Slovenia.
Anche le modalità di trasmissione del virus variano da Paese a Paese. Gli uomini sono più esposti delle donne al rischio di contagio, con una probabilità doppia di infezione in media per tutta Europa. Il sesso tra uomini resta infatti la fonte principale del contagio un po’ ovunque a eccezione dei Paesi dell’Est dove l’infezione viene trasmessa anche attraverso i rapporti eterosessuali e lo scambio di siringhe tra tossicodipendenti (responsabile del 24% delle nuove diagnosi nell’Europa orientale).
I Paesi dell’Est emergono nel rapporto come un caso a parte. Le diagnosi di Aids, per esempio, sono rimaste stabili negli ultimi anni nell’Europa occidentale e centrale, ma continuano a salire nell’Europa orientale. Il che dimostra che la strategia del “test and treat” funziona in alcuni Paesi e non in altri. Nella maggior parte dei Paesi i programmi di screening e le terapie antiretrovirali riescono a impedire che l’infezione degeneri in malattia. Circa il 90 per cento dei Paesi della Regione europea dell’Oms adotta la strategia di iniziare subito il trattamento farmacologico indipendentemente dal livello dei linfociti Cd4, indicativo del funzionamento del sistema immunitario. Nei Paesi dell’Est questo non accade e le diagnosi arrivano quando l’infezione è già a uno stadio avanzato.
«Sono necessarie nuove strategie per migliorare la diagnosi precoce e rendere sempre più persone consapevoli della loro infezione introducendo approcci diversificati e di facile utilizzo che rendano i test HIV più ampiamente disponibili», si legge nel rapporto.
Uno dei tasti dolenti delle politiche di gestione dell’Hiv nell’Europa dell’Oms, come viene sottolineato nel rapporto, è un uso insufficiente della profilassi pre-esposizione (Prep), una strategia che quando viene usato può fare la differenza riducendo notevolmente le infezioni nelle categorie più a rischio.