Hiv, il virus non rilevabile non si trasmette. Ecco perché è fondamentale controllare l'infezione

Linee guida

Hiv, il virus non rilevabile non si trasmette. Ecco perché è fondamentale controllare l'infezione

HIV-infected_T_cell_(6813384933).jpg

Immagine: NIAID, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons
di redazione
Una review su Lancet fornisce le prove scientifiche alle nuove linee guida dell’Oms. Il primo obiettivo è la prevenzione, ma per chi il virus l'ha preso è fondamentale mantenere la carica virale bassa. Sotto la soglia di 1.000 copie per ml il rischio di infettare il partner è praticamente nullo

U=U, undetectable = untransmittable. L’equazione è confermata: quando la persona con Hiv ha una carica virale bassa il rischio di trasmettere l’infezione al proprio partner attraverso un rapporto sessuale non protetto è nullo o estremamente vicino allo zero. Ma la review appena pubblicata su Lancet che ha accompagnato la pubblicazione delle nuove linee guida dell’Oms sulla soppressione virale nel rilanciare quel messaggio rassicurante fornisce anche nuovi dettagli sulla probabilità di infezione all’interno di una coppia in cui uno dei due componenti è sieropositivo. Dopo aver passato in rassegna 244 studi che hanno coinvolto 7.762 coppie serodiscordanti (un partner sieropositivo e l’altro no) di 25 Paesi, i ricercatori affermano che non esistono prove di una possibile trasmissione del virus se la carica virale è inferiore a 600 copie per mL e che le probabilità di infezione sono estremamente basse, molto vicine allo zero, quando la carica virale è inferiore a 1.000 copie per ml. Per intenderci: durante un rapporto sessuale non protetto con un partner che ha una carica virale inferiore a 1.000 copie per ml la probabilità di infettarsi è pari a 0,00028. 

«Dimostrando che il rischio di trasmissione sessuale dell'Hiv è quasi nullo quando il partner ha una carica virale inferiore a 1.000 copie per ml, i nostri risultati sottolineano l'importanza delle campagne di prevenzione, suggerendo anche che il messaggio U=U si applica alle persone che vivono con l'HIV con un basso livello di viremia», commentano gli autori della review. I risultati sottolineano l’importanza della terapia antiretrovirale con la quale è possibile mantenere il virus inattivo e invitano a un maggiore utilizzo dei test per il dosaggio della viremia. Attualmente nel mondo sono 39 milioni le persone che convivono con l’Hiv, il 76 per cento delle quali segue la terapia antiretrovirale (29,8 milioni). I tre quarti (71%) di chi assume i farmaci ha una carica virale soppressa (inferiore a 1.000 copie per ml). 

È questa la scienza a cui ha attinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità per la redazione delle nuove linee guida sulla gestione dell’Hiv presentate all’ International IAS (the International AIDS Society) Conference on HIV Science

Una delle nuove raccomandazioni riguarda l’uso dell’auto-test per l’Hiv. 

«L'autotest dell'Hiv può essere offerto come opzione aggiuntiva al test presso le strutture». Lo scopo è anticipare il trattamento per arrivare il prima possibile al traguardo della soppressione virale. 

Per ora si tratta di una  “raccomandazione condizionale” perché il livello di affidabilità delle prove a sostegno della sua efficacia è ancora basso. 

Ma i dati raccolti finora suggeriscono che l’auto-test può essere uno utile soprattutto nei contesti in cui vi è carenza di operatori sanitari e in cui tradizionali test dell'Hiv non sono facilmente disponibili.

Gli esperti dell’Oms si basano sui risultati di alcuni studi che hanno mostrato come l'autotest dell’HIV fornito da una struttura sanitaria può assicurare un monitoraggio dell’infezione in una comunità equivalente se non superiore a quello fornito dai test standard aumentando la percentuale di persone che scopre di essere sieropositiva. In Zimbabwe, per esempio, l’offerta del self-testing nelle cliniche di pianificazione familiare in cui il test dell’Hiv non veniva offerto di routine ha aumentato la copertura del test dallo 0,5 per cento al 64 per cento in soli tre mesi. 

Un capitolo delle nuove linee guida è dedicato al vaiolo delle scimmie (monkeypox) per l’elevata percentuale di persone con Hiv tra gli infetti. 

I dati della sorveglianza globale riportati all'Oms durante l'epidemia di monkey pox, hanno mostrato che tra tra i 32mila casi di vaiolo delle scimmie sui si avevano informazioni sullo stato dell’Hiv (su un totale di 82mila casi), il 52 per cento era sieropositivo. Tra le 16mila persone con diagnosi di vaiolo delle scimmie e di l'Hiv, circa un quarto (25%) presentava una malattia da Hiv avanzata e  un maggior rischio di ospedalizzazione e di morte. Le persone con Hiv cin terapia con una buona immunità correvano invece rischi di ricovero o di morte simili a quelli che erano Hiv negativi.

L’Oms quindi raccomanda di integrare i programmi di rilevamento, di prevenzione e di cura del vaiolo delle scimmie con i programmi di prevenzione e controllo dell'Hiv e delle infezioni sessualmente trasmissibili.

Anche Condi-19 è stato particolarmente rischioso per le persone con Hiv, il cui tasso di mortalità in ospedale complessivo è stato del 20-24 per cento.

«L’Hiv incontrollato rimane un fattore di rischio per esiti negativi e morte nell'epidemia di vaiolo delle scimmie e nella pandemia di Covid-19. Dobbiamo garantire l'integrazione delle considerazioni sull'HIV nella preparazione e nella risposta alla pandemia. Proteggere le persone che vivono con l'Hiv da future pandemie è vitale e richiede di garantire l'accesso ai test e alle cure per l’Hiv e ai vaccini preventivi per il vaiolo delle scimmie e per Covid-19 per salvare vite umane», ha affermato la Meg Doherty, direttrice dei programmi globali di Hiv, epatite e infezioni sessualmente trasmissibili dell’Oms.