Hiv: parlarsi per superare stigma e autostigma

La Campagna

Hiv: parlarsi per superare stigma e autostigma

di redazione

Il 40% delle persone che vive con l'Hiv apprende di avere l’infezione casualmente e, dopo averlo saputo, due su dieci aspettano a comunicarlo ad altri, principalmente per la paura del giudizio e dell’emarginazione.

A rivelarlo è l’indagine realizzata da Elma Research su 500 pazienti, che offre una “fotografia” del vissuto delle persone con Hiv e dei loro bisogni e mette in luce come l’infezione, nonostante gli importanti progressi terapeutici, abbia ancora un impatto determinante su diversi aspetti della vita e sula sua qualità.

Sulla base dei risultati della ricerca, è nata allora “HIV. Ne parliamo?”, campagna di sensibilizzazione promossa da Gilead Sciences con il patrocinio di 16 Associazioni di pazienti, della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e dell’Italian Conference on Aids and Antiviral Research (ICAR). Attraverso la voce di chi vive con l’Hiv, la campagna pone l’attenzione sugli aspetti della vita che possono essere migliorati, per prenderne consapevolezza e iniziare ad affrontarli. A partire da una semplice domanda da fare al proprio medico: «Ne parliamo?»

L'indagine e la campagna sono state presentate in un incontro giovedì 23 novembre a Milano, alla vigilia della Giornata mondiale contro l'Aids dell'1 dicembre.

Dagli aspetti psicologici alle relazioni con gli altri, dal dialogo con il medico alla corretta assunzione della terapia, la campagna intende offrire, attraverso le storie di chi vive con Hiv, degli spunti di riflessione sulla propria condizione e informazioni utili per migliorarla.

È tutto disponibile su www.hivneparliamo.it.

«Considerato che il 95% delle persone comunica l’infezione ma lo fa in modo molto parziale, spesso escludendo familiari e amici, è evidente – sostiene Gabriella d’Ettorre, del Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive all'Università La Sapienza di Roma - che c’è ancora una forte componente di stigma e “autostigma” che pesa sulla vita delle persone che scoprono la sieropositività al virus, con un carico che impatta negativamente sulla qualità di vita e sul benessere psicologico. Un dialogo aperto con il proprio medico, ma anche il supporto delle Associazioni di pazienti, rappresenta un punto cruciale per affrontare e risolvere queste problematiche».

Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Centro operativo Aids (Coa) in quasi il 60% dei casi l’infezione viene scoperta in fase avanzata, cosa che può compromettere l’efficacia delle terapie che, se assunte precocemente, consentono una buona qualità di vita.

«Il contrasto all’Hiv - spiega Andrea Gori, del Dipartimento Malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano e presidente di Anlaids Lombardia - può infatti contare su strategie terapeutiche efficaci, in grado di azzerare la carica virale, soprattutto se assunte il più precocemente possibile rispetto al momento dell’infezione. L’aderenza alla terapia resta però il punto chiave – avverte – sebbene, come emerge dall’indagine, circa il 30% dei pazienti non riesca a rispettarla». Eppure, essere aderenti alla terapia «vuol dire diminuire drasticamente la probabilità di comparsa di mutazioni del virus che possono provocare “resistenze ai farmaci anti-Hiv” – prosegue Gori - ossia una ridotta o assente capacità dell’efficacia della terapia stessa. Non solo. Chi segue le indicazioni terapeutiche protegge anche gli altri, poiché azzerando la replicazione del virus non trasmette l'infezione, non è più contagioso. Un concetto rivoluzionario e allo stesso tempo molto semplice».

Per questo il dialogo con lo specialista è fondamentale per favorire la consapevolezza di come l’aderenza alla terapia possa migliorare sostanzialmente la qualità di vita.

«Quello della salute mentale e del benessere psicologico più in generale è un aspetto molto importante a cui non sempre viene data la giusta attenzione» Alessandro Lazzaro, del Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive dell'università La Sapienza di Roma. «Numerose sono le persone con Hiv a rischio depressione – aggiunge - o che presentano disturbi come insonnia, ansia, depressione che possono avere un impatto importante sulla qualità di vita. Le cause possono essere diverse: lo stigma sociale, purtroppo ancora fortemente presente, è una delle principali. Ma dietro alcuni di questi disturbi può esserci una causa biologica, legata agli effetti del virus o della stessa terapia antiretrovirale. In tale contesto, il dialogo medico-paziente ha un ruolo cruciale per prendere consapevolezza e affrontare queste problematiche, non solo dal punto di vista delle scelte terapeutiche, ma anche per indirizzare chi ne ha bisogno verso un percorso integrato di tipo multidisciplinare».

Attenzione, però, avverte infine Gori, non bisogna banalizzare. Perchè se è vero che una diagnosi tempestiva e una terapia adeguata possono assicurare che la persona con Hiv non morirà né di Aids né di patologie correlate con lo stesso Hiv, è altrettanto vero che contrarre l'infezione cambia la vita. E sono sempre più numerosi gli studi che mostrano come l'infezione da Hiv esponga a maggiori rischi, e più precoci, di contrarre malattie non direttamente causate dal virus, comprese quelle cardiologiche e oncologiche.