Hiv, non se ne parla mai abbastanza

La campagna

Hiv, non se ne parla mai abbastanza

di redazione
Le terapie hanno rivoluzionato la vita delle persone che vivono con Hiv. Per mantenerle efficaci, evitando lo sviluppo di resistenze e garantendo la loro capacità di evitare la trasmissione dell’infezione, è però necessario che siano assunte con regolarità. Una campagna e un podcast ce lo ricordano

Parlare di Hiv è il primo modo per combatterlo. L’infezione che ha seminato paura negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso oggi si può tenere sotto controllo grazie ai progressi nelle terapie che danno alle persone portatrici del virus la possibilità di avere una aspettativa di vita comparabile a quella della popolazione generale. Raggiunto questo traguardo, l’obiettivo definitivo è oggi la guarigione completa. Nel frattempo, la sfida è mantenere per i pazienti una qualità di vita ottimale, prevenire la trasmissione del virus da parte delle persone portatrici, mantenere l’efficacia dei trattamenti nel lungo termine evitando che il virus si risvegli e acquisisca la capacità di sfuggire ai farmaci. C’è una strategia comune per raggiungere questi obiettivi: assumere la terapia con costanza e regolarità (quella che comunemente viene definita aderenza terapeutica). Un traguardo non semplice, per chi deve assumere una terapia tutta la vita, ma che può essere raggiunto trovando insieme al proprio medico la soluzione più adatta a ognuno. 

Sono questi i temi al centro di “Hiv. Parliamone ancora!”, iniziativa realizzata nell’ambito di “HIV. Ne parliamo?”, campagna di sensibilizzazione promossa da Gilead Sciences, di cui oggi sono stati presentati nuovi materiali in occasione dell’Italian Conference on AIDS and Antiviral Research (ICAR) in corso a Roma fino al 21 giugno. 

U=U

L’avvento delle terapie antiretrovirali ha rivoluzionato lo scenario del contrasto dell’Hiv. Non solo perché hanno consentito ai pazienti di ‘congelare’ il virus nell’organismo prevedendo le conseguenze peggiori dell’infezione. Ma anche perché la terapia è anche un freno alla diffusione del contagio. È quanto sintetizzato con la formula U=U, (undetectable= untransmittable/non rilevabile=non trasmissibile), vale a dire che la soppressione della replicazione virale azzera il rischio che una persona portatrice del virus trasmetta l’infezione ad altri. 

«U=U è una rivoluzione meravigliosa che contribuisce anche a contrastare lo stigma verso le persone con Hiv”, dice Valeria Calvino, di Anlaids ETS. 

Il concetto di non rilevabile=non trasmissibile «ci aiuta a vivere meglio sia a livello fisico sia a livello psicologico. Tuttavia, non è ancora sufficientemente conosciuta», conclude. «È importante, quind,i diffondere l’informazione corretta nella popolazione generale e, soprattutto, fornire strumenti adeguati ai medici e alle persone con Hiv per poter accedere alla piena conoscenza di questo concetto». 

Aderenza decisiva

Non manca solo la consapevolezza, però. La chiave per garantire che la carica virale rimanga soppressa è infatti l’aderenza alla terapia. Se la terapia non è assunta correttamente, il virus riesce nuovamente a replicarsi e produrre nuove copie virali che possono contenere mutazioni che lo rendono resistente ai farmaci. «Una volta che il virus ha ‘imparato’ a rendere inefficace un farmaco, non lo dimentica più. Ecco perché la resistenza ai farmaci limita le opzioni terapeutiche disponibili e può rendere più complessa la gestione dell’infezione», dice Simone Lanini, professore associato in Malattie Infettive Università degli Studi di Udine.

Per risolvere questo problema non basta cambiare la terapia: occorre prevenire l’innescarsi della resistenza. «Adattare la terapia alle abitudini di chi la assume, e non viceversa, aumenta le probabilità che questa venga assunta correttamente», afferma Giuseppe Lapadula, ricercatore in Malattie Infettive all’Università degli Studi Milano-Bicocca. Ciò può avvenire con un dialogo tra medico e paziente che sia «franco, aperto e bidirezionale. Deve creare empatia e favorire un modello di cura collaborativo”, aggiunge. “Deve esplorare tutti gli aspetti che possono ostacolare un’assunzione ottimale della terapia e, se necessario, deve fornire alla persona che vive con Hiv gli strumenti per rimodellare l’interpretazione della propria malattia e condividere nuovi obiettivi di cura», conclude Lapadula.

Un podcast come nello studio medico

È questo l’obiettivo del podcast “A voce alta. Dialoghi sull’Hiv”, prodotto da One Podcast in collaborazione con Gilead Sciences. 

Con un dialogo simile a quello che dovrebbe avvenire nello studio medico, due medici e una persona con HIV discutono di come migliorare la qualità di vita di chi vive con l’infezione, ospiti di Florencia Di Stefano - Abichain. 

La prima puntata, disponibile da oggi su Spotify, è dedicata alle terapie, all’aderenza terapeutica, al concetto di U=U (non rilevabile=non trasmissibile) e allo sviluppo delle resistenze. La seconda sarà disponibile a settembre e riguarderà il momento della diagnosi. 

Accanto al podcast, disponibile su tutte le piattaforme a partire dal 20 giugno, la campagna rende disponibili materiali di aggiornamento per i medici sul rischio di sviluppo di resistenze. 

L’iniziativa si inserisce nella più ampia campagna “HIV. Ne parliamo?”, partita a novembre 2023 per porre l’attenzione su quegli aspetti della vita delle persone con Hiv che possono essere migliorati, dagli aspetti psicologici alle relazioni con gli altri, alla corretta assunzione della terapia. 

«Da oltre 35 anni siamo accanto alle persone con Hiv. E se all’inizio di questo percorso il nostro impegno era tutto focalizzato nel trovare soluzioni salvavita, ora che le abbiamo trovate e le persone con Hiv possono avere un’aspettativa di vita paragonabile a chi non ha l’infezione, è nostro dovere impegnarci a migliorare la qualità di questo tempo, sviluppando soluzioni terapeutiche sempre più efficaci e promuovendo una corretta informazione e un maggior dialogo tra medici e pazienti», dice Gemma Saccomanni, senior director Public Affairs di Gilead Sciences. «La campagna “Hiv Ne parliamo?” è un’iniziativa fondamentale in questo senso perché offre strumenti concreti a clinici e pazienti per costruire un rapporto di fiducia e migliorare la relazione di cura a favore delle persone che vivono con Hiv», conclude.