Cheratite da Acanthamoeba: curarla ora si può, prevenirla è meglio
Otto volte su dieci la causa è un uso improprio delle lenti a contatto: a trasmettere l'infezione da Acanthamoeba è infatti una scarsa attenzione degli utilizzatori nell'impiegare questi diffusissimi dispositivi medici. Si manifesta con dolore violento, visione offuscata, fotofobia e lacrimazione abbondante e le conseguenze possono essere, se non viene diagnosticata e trattata tempestivamente, anche gravi, fino addirittura alla perdita della vista.
Ne sa qualcosa Alice Sotero, atleta di pentathlon moderno che, dopo aver partecipato alle Olimpiadi di Rio e di Tokio per la squadra italiana, ha rischiato seriamente di dover saltare quelle di Parigi della scorsa estate. Colpita dall’infezione all’occhio sinistro per aver erroneamente sciacquato le proprie lenti a contatto sotto l’acqua del rubinetto, senza utilizzare una soluzione sterile, dopo i primi dolorosi e invalidanti sintomi ha sperimentato la frustrazione di diagnosi sbagliate cui seguiva un aggravamento della sua condizione finchè, identificata l’infezione da Acanthamoeba, ha avuto la possibilità di accedere a un nuovo trattamento, allora ancora in fase sperimentale, che le ha consentito di prendere parte alle competizioni di Parigi, ma soprattutto le ha assicurato la guarigione e la possibilità di riprendersi la vita.
L'atleta ha portato la propria esperienza al Dialogue Meeting tenutosi mercoledì 4 dicembre a Roma, sul tema Conoscere e riconoscere la cheratite da Acanthamoeba, organizzato dalla rivista di politica sanitaria Italian Health Policy Brief, in collaborazione con l’Alleanza per l’equità di accesso alle cure per le malattie oculari. Obiettivi dell'iniziativa quelli di aumentare la conoscenza della patologia e la consapevolezza dei rischi connessi, ribadire il ruolo centrale della prevenzione, dare enfasi all’importanza di accedere a diagnosi precoce e alla nuova terapia mirata, stimolando contemporaneamente azioni informative sul corretto uso delle lenti a contatto.
Statisticamente la malattia va inclusa nel novero delle malattie rare, ma l'ampio uso delle lenti a contatto e l'uso non sempre accurato mettono a rischio gli occhi di chi le usa.
«Bisogna essere consapevoli del fatto che più la diagnosi è tardiva, peggiore è la prognosi: quindi – osserva Paolo Rama, consulente del Policlinico San Matteo di Pavia e specialista delle malattie della cornea - si può affermare che solo una diagnosi precoce rende possibili risultati terapeutici eccellenti, anche perché finalmente, oggi, è disponibile il primo farmaco, frutto della ricerca italiana, specificamente indicato per la patologia. La possibilità di trovare queste informazioni in un sito facilmente accessibile – aggiunge Rama - sarebbe davvero di grande importanza per i pazienti. Questo, in considerazione del fatto che oggi, in Italia, diversi centri sono in grado di effettuare una diagnosi microbiologica di Acanthamoeba».
Il sito web, in effetti, c'è ed è quello realizzato da un altro paziente, Alvise Callegari , dove i pazienti possono raccontare le proprie esperienze, acquisire informazioni e scambiarsi consigli (https://www.acanthamoeba.org).
Tuttavia, un contributo determinante nel prevenire l'infezione e nel diagnosticarla prematuramente potrebbe venire, per le comprensibili ragioni legate al loro ruolo, da alcune figure come gli ottici, i farmacisti e gli oculisti ambulatoriali.
«Una malattia può essere rara ma, non per questo, può o deve essere poco conosciuta – interviene Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo, la Federazione italiana malattie rare che raccoglie oltre 200 associazioni di pazienti – e, per questa ragione, pericolosamente incombente. È un preciso dovere della politica, delle Istituzioni e delle diverse componenti del sistema socio-sanitario, prime tra tutte le diverse espressioni del mondo advocacy, impegnarsi per proporre e adottare con urgenza misure organiche che consentano, da un lato, di diffondere informazioni e consapevolezze circa caratteristiche, sintomi e rischi che la patologia porta con sé e, dall’altro, porre in atto quelle misure che permettano, come sarebbe necessario per questa patologia, l’equanime accesso ai percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali, evitando – conclude Scopinaro - quell’affannoso e scoraggiante girovagare di molti pazienti in una giungla di improbabili valutazioni diagnostiche, quando non di inefficaci o dannosi tentativi terapeutici».