Una malattia genetica diffusa tra gli ebrei aschenaziti protegge dalla tubercolosi
Perché alcune persone si ammalano di tubercolosi e altre, pur infettandosi, non sviluppano la malattia? Una spiegazione possibile viene proposta da uno studio che ha collegato i risultati di una ricerca sugli zebrafish a specifiche caratteristiche genetiche degli ebrei aschenaziti.
Si è scoperto che la maggiore predisposizione della popolazione ashkenazita a una rara malattia genetica, chiamata malattia di Gaucher, è anche responsabile di una minore suscettibilità alla tubercolosi. Lo studio, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) e condotto da ricercatori dell’Università di Cambridge in collaborazione con scienziati dei Paesi Bassi, della Spagna e della Pennsylvania, ha dimostrato in sostanza che lo stesso meccanismo genetico che favorisce la malattia genetica permette di combattere la tubercolosi. La scoperta, che potrebbe portare allo sviluppo di nuovi farmaci. è avvenuta mentre i ricercatori stavano analizzando la suscettibilità alla tubercolosi negli zebrafish, modelli di studio ideali perché il loro patrimonio genetico è facile da modificare e il loro sistema immunitario ha molte somiglianze con quello degli esseri umani.
Lo stesso team di scienziati aveva osservato in precedenza che alcune mutazioni nei pesci rendevano gli animali più suscettibili alla tubercolosi. In particolare si tratta di mutazioni che compromettono la digestione delle proteine da parte dei lisosomi. I lisosomi sono componenti delle cellule con il compito di eliminare i materiali indesiderati, comprese proteine e grassi, utilizzando degli enzimi. Le mutazioni che influiscono sulla produzione di questi enzimi possono portare a un accumulo di materiali tossici che rende difficile combattere le infezioni. Per questa ragione i disturbi lisosomiali sono generalmente associati a un maggior rischio di infezioni. In questi casi infatti accade che i macrofagi, le cosiddette “cellule spazzino”, aumentino di volume a causa dell'accumulo di materiale non digerito nei lisosomi e muovendosi più lentamente facciano fatica a combattere le infezioni.
«I macrofagi devono muoversi rapidamente per attaccare batteri e virus invasori. Il loro nome significa "grande mangiatore", ed è esattamente quello che fanno. Ma in presenza di disturbi lisosomiali, queste cellule non sono in grado di metabolizzare il cibo che mangiano, il che li rende gonfi e “pigri”, incapaci di svolgere i loro compiti», spiega Lalita Ramakrishnan dell’Università di Cambridge a capo dello studio.
I ricercatori hanno scoperto che i pesci zebra con la malattia di Gaucher, che rientra nella categoria delle malattie da accumulo lisosomiale, al contrario di quanto ci si sarebbe aspettato, sviluppavano una resistenza alla tubercolosi, piuttosto che una maggiore suscettibilità.
La malattia di Gaucher è una malattia rara, che colpisce circa una persona su 40-60mila nati nella popolazione generale, ma tra gli ebrei ashkenaziti l’incidenza è molto superiore, pari a circa un individuo su 800. Nella maggior parte dei casi, la malattia si manifesta con sintomi lievi, quali milza e fegato ingrossati e anemia, tanto che circa due terzi delle persone portatrici di due copie della variante genetica più comune non sono consapevoli di esserne portatrici.
Quando i ricercatori hanno modificato geneticamente i pesci inserendo le varianti genetiche che causano la malattia di Gaucher, i macrofagi, come previsto, si sono ingranditi diventando incapaci di eliminare i materiali tossici, in questo caso un tipo particolare di grasso (chiamato sfingolipidi) piuttosto che proteine. Ma i pesci esposti alla tubercolosi erano sorprendentemente resistenti all’infezione. A conferire la protezione dalla tubercolosi è una particolare sostanza chimica grassa che si accumula all'interno dei macrofagi nella malattia di Gaucher, chiamata glucosilsfingosina. La glucosilsfingosina ha infatti la stessa capacità di un detergente di uccidere i micobatteri della tubercolosi, distruggendo in pochi minuti le loro pareti cellulari.
«Ci siamo inconsapevolmente ritrovati al centro di un dibattito che va avanti da decenni nella genetica umana: gli ebrei ashkenaziti, che sappiamo essere a rischio molto maggiore di malattia di Gaucher, in qualche modo hanno meno probabilità di contrarre l'infezione da tubercolosi? La risposta sembra essere sì», afferma Ramakrishnan.
I ricercatori ipotizzano che le mutazioni che favoriscono la malattia di Gaucher ma proteggono dalla tubercolosi, abbiano rappresentato un vantaggio evolutivo e per questo siano state trasmesse di generazione in generazione.
Nella loro lunga diaspora, più volte costretti a vivere in ghetti e a migrare da un Paese all’altro, gli ebrei ashkenaziti devono necessariamente essere stati esposti alla tubercolosi. E le mutazioni della malattia di Gaucher devono avere assicurato di gran lunga più benefici che svantaggi, consentendo alle persone di sopravvivere alla tubercolosi e quindi di trasferire i geni “sbagliati ma buoni” ai discendenti. Il meccanismo è simile a quello che si è osservato nelle popolazioni esposte alla malaria. In questo caso però la mutazione che ha protetto dalla malaria e che è stata quindi trasmessa dai sopravvissuti alle generazioni successive predispone a una malattia grave come la talassemia che per questa ragione è più diffusa nelle zone che sono state un tempo malariche.
Nel caso degli ebrei ashkenaziti solo gli individui portatori di entrambe le copie della variante genetica (una per ogni genitore) possono contare su una maggiore protezione dalla tubercolosi.
Quando resta un gene “sano”, infatti, questo produce enzimi in quantità sufficienti per eliminare i macrofagi insieme al “disinfettante” antimicrobico.
«La nostra scoperta potrebbe fornire indizi su possibili nuovi trattamenti per la tubercolosi. I farmaci che imitano gli effetti della malattia di Gaucher, in particolare l'accumulo di glucosilsfingosina, potrebbero offrire effetti antimicrobici contro la tubercolosi», concludono i ricercatori.