A rischio la disponibilità dell'acido obeticolico per la colangite biliare primitiva

Farmaci

A rischio la disponibilità dell'acido obeticolico per la colangite biliare primitiva

di redazione

Lo scorso 3 settembre la Commissione europea ha revocato l'autorizzazione all'immissione in commercio condizionata dell'acido obeticolico, usato da anni per controllare la progressione della colangite biliare primitiva (Cbp). Tuttavia il 5 settembre, la Corte di giustizia europea ha sospeso la decisione della Commissione con la conseguenza che, almeno per il momento, il farmaco potrà continuare a essere disponibile e prescritto sia a nuovi pazienti sia a chi ne faceva già uso in regime di rimborsabilità. L’acido obeticolico è autorizzato al commercio in Italia dal 2017, come unica opzione terapeutica di seconda linea per i pazienti che non hanno un adeguato controllo della malattia con la prima linea a base di acido ursodesossicolico. Solo in Italia sono 1.400 le persone che lo utilizzano.

La revoca poi sospesa non è fondata su problemi di sicurezza del farmaco, ma è conseguente alla valutazione del rapporto rischio/beneficio complessivo effettuata dal Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell'Agenzia europea per i medicinali (EMA) in gran parte basata su un singolo studio (il COBALT).

Il farmaco è dunque ancora disponibile grazie alla sospensione, ma se la decisione della Commissione europea dovesse essere confermata potrebbe non esserlo più non solo per i nuovi pazienti, ma anche per quelli già in trattamento. Una prospettiva che preoccupa la comunità delle persone con Cbp, che chiede di utilizzare questo periodo di sospensione per trovare una soluzione che tuteli almeno la continuità terapeutica per i pazienti che traggono benefici dal trattamento.

Di questa vicenda e delle possibili soluzioni che possano garantire la continuità terapeutica si è parlato martedì 10 settembre, a ridosso della Giornata mondiale di sensibilizzazione Cbp dello scorso 8 settembre, in una conferenza stampa organizzata da Omar - Osservatorio malattie rare, in collaborazione con Amaf - Associazione malattie autoimmuni del fegato e Associazione EpaC e con il contributo non condizionante di Advanz Pharma.

Una delle possibili soluzioni discusse, già emersa da due interrogazioni parlamentari, è quella di applicare l’art. 117.3 della Direttiva 2001/83 CE, recepito in Italia nel Decreto del ministero della Salute del 30 aprile 2015. Questa norma prevede che, in caso di revoca dell’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco, le autorità nazionali competenti possano, in circostanze eccezionali, continuare a consentirne la fornitura ai pazienti già in cura.

«È chiaro e normale che i pazienti siano molto preoccupati» commenta Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice di Osservatorio malattie rare. «Nonostante gli studi randomizzati, in doppio cieco, controllati con placebo siano considerati il gold standard della ricerca clinica – prosegue - essi possono essere difficili da condurre nelle malattie rare, soprattutto quando ciò avviene dopo l'autorizzazione all'immissione in commercio e la disponibilità del prodotto, come nel caso dello studio COBALT. Per una questione etica sarebbe auspicabile – conclude Ciancaleoni Bartoli - una maggiore considerazione dei dati di Real World Evidence, che in questo caso ci sono».