Angioplastica possibile anche nei pazienti più difficili grazie alle nuove tecniche
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Sono pazienti con malattia coronarica complessi, in cui la tradizionale cardiochirurgia non consente di ottenere risultati soddisfacenti o espone a un rischio operatorio troppo alto. Per molti di loro, a lungo non è stata fattibile nemmeno una procedura di cardiologia interventistica, quell’approccio in cui i vasi sanguigni vengono disostruiti per via “percutanea”, cioè facendo passare attraverso un piccolo foro a livello inguinale o del polso un catetere sottilissimo che va a liberare i vasi chiusi.
I progressi tecnici e il continuo innalzamento del livello professionale degli operatori, negli ultimi anni, hanno però consentito di fornire un trattamento anche questi pazienti.
A questi casi è stato dedicato il Turin CTO&CHIP, congresso internazionale giunto alla seconda edizione, che si è tenuto il 4 e il 5 maggio a Torino. Il congresso si concentra sui trattamenti interventistici per le occlusioni coronariche croniche totali (CTO) e le nuove tecniche nella cura dei pazienti complessi ad alto rischio con indicazione clinica all’intervento coronarico (CHIP – Complex higher-risk and indicated patients).
«È un congresso internazionale dedicato al trattamento della malattia coronarica complessa, prevalentemente delle occlusioni croniche e dei pazienti ad alto rischio che devono essere sottoposti a un intervento per la riapertura delle coronarie severamente ammalate», spiega Roberto Garbo, direttore del programma CTO e Angioplastiche coronariche complesse presso il Maria Pia Hospital di Torino, ospedale di GVM Care & Research, e direttore del Turin CTO&CHIP insieme ad Andrea Gagnor, responsabile del laboratorio di Emodinamica dell’Ospedale Maria Vittoria dell’Asl Città di Torino.
Al congresso hanno partecipato più di di 400 medici da tutto il mondo. Sono stati inoltre realizzati 18 interventi in diretta da ospedali in Italia e all’estero, da Dubai a Taiwan, dalla Spagna alla Germania.
«Il target è quello di avere avuto i migliori operatori al mondo che hanno eseguito questo tipo di interventi», spiega Garbo, che durante il congresso ha effettuato un “tutoraggio” da remoto durante un intervento di disostruzione per via retrograda di un’occlusione coronarica cronica. «Dobbiamo educare i giovani cardiologi interventisti a migliorare la loro esperienza in questo tipo di procedura. La parte di tutoraggio è essenziale per fare in modo che le nuove generazioni siano in grado di fare questi interventi nel miglior modo possibile», dice.
Innovazione per i casi più difficili
La tipologia di interventi al centro del congresso rappresentano l’ultima frontiera della cardiologia interventistica. Che viene applicata in pazienti fino a poco tempo fa orfani di cure. «La malattia coronarica è la prima causa di mortalità nel mondo e questi pazienti spesso venivano lasciati senza trattamento perché quelle di cui stiamo parlando sono procedure ad alta complessità», dice ancora Garbo. «Solo negli ultimi anni si è riuscito a ottenere un grosso successo grazie all'esperienza degli operatori e all’utilizzo dei materiali innovativi che consentono di operare in condizioni difficili. Per esempio - aggiunge - nelle occlusioni croniche i nuovi approcci, come l'approccio retrogrado, l'utilizzo di tecniche di imaging intravascolare e di strategie innovative hanno consentito di ottenere un successo procedurale elevatissimo - superiore al 90% - con una riduzione del rischio di complicanze».
La gamma di pazienti che ha bisogno di questi trattamenti è ampia. «L’età dei pazienti si è allargata in modo incredibile», illustra Garbo. «Parliamo di pazienti giovani e anche meno giovani, che soffrono di angina, di scompenso cardiaco, di dispnea, che hanno un’ischemia miocardica», aggiunge lo specialista che precisa che, nell’esecuzione di queste procedure è fondamentale la selezione del paziente: «Non tuti i pazienti con occlusione cronica devono essere operati, ma solo quelli per cui esiste una corretta indicazione. Se è così, si può intervenire anche se il paziente ha un’età avanzata».
L’intervento, anche se dal punto di vista dei medici è altamente complesso, dal punto di vista del paziente resta una tradizionale angioplastica. Quindi una procedura mini-invasiva in cui il vaso viene liberato passando per un piccolo foro sul polso o sull’inguine. Il ricovero dura in genere un paio di notti, salvo la presenza di condizioni che richiedano una permanenza più lunga. E il recupero è piuttosto veloce.
«Grazie a questi trattamenti avanzati possiamo ottenere grandissimi risultati in questo tipo di pazienti complessi», conclude Garbo.