L’effetto boomerang dell’aspirina: se la terapia a basso dosaggio viene interrotta il rischio di infarto aumenta
Fa bene quando viene seguita alla lettera, fa male quando viene interrotta. La terapia a lungo termine con aspirina in basso dosaggio assunta quotidianamente funziona nella prevenzione di eventi cardiovascolari come infarto e ictus.
Ma quando viene sospesa, il rischio di andare incontro alle complicanze cardiache aumenta. È la conclusione a cui è giunto un gruppo di cardiologi svedesi che, sulla rivista Ciruclation dell’American Heart Association, invita i pazienti a evitare interruzioni della terapia non giustificate da ragioni cliniche.
I ricercatori hanno raccolto informazioni su più di 600 mila persone che hanno assunto basse dosi di aspirina ogni giorno tra il 2005 e il 2009 per prevenire infarto e ictus, come suggeriscono le linee guida dell’American Heart Association. Tutti i partecipanti avevano più di 40 anni, non avevano tumori e avevano un livello di aderenza alla terapia pari all’80 per cento nel primo anno di cura. Gli scienziati hanno osservato il campione per tre anni, annotando tutti i problemi di salute emersi durante l’intero periodo. Nel corso dello studio ci sono stati in tutto 62.690 eventi cardiovascolari.
Tra i pazienti che avevano smesso di assumere l’aspirina, una persona ogni 74 ha registrato un evento cardiovascolare in più ogni anno. In percentuale, il numero di eventi cardiovascolari tra chi aveva interrotto la terapia era del 37 per cento superiore rispetto a chi invece aveva seguito diligentemente le indicazioni prescritte dal medico. I ricercatori hanno anche notato che il rischio di eventi cardiovascolari aumentava subito dopo la sospensione della terapia e non diminuiva con il passare del tempo.
«La terapia con aspirina a basso dosaggio - afferma Johan Sundstromis, professore di epidemiologia alla Università di Uppsala in Svezia e principale autore dello studio - è una terapia semplice ed economica. Finché non compaiono sanguinamenti e non ci sono interventi chirurgici in vista, la nostra ricerca dimostra che la terapia ha grandi benefici sulla salute pubblica quando però i pazienti vi aderiscono».
Ma i dati statistici dimostrano che di “bravi pazienti” non ce ne sono molti: dal 10 al 20 per cento delle persone che sono sopravvissute a un infarto interrompe l’assunzione di aspirina entro i tre anni dall’evento. Non solo: dal 30 al 50 per cento dei pazienti non rispetta le regole della prescrizione. C’è chi ogni tanto salta l’appuntamento quotidiano con la pillola e chi assume dosaggi diversi da quelli indicati.
In tutti questi casi, avvertono i ricercatori, la terapia può avere un effetto boomerang. L’aspirina, infatti, serve per fluidificare il sangue evitando la comparsa di rischiosi coaguli. In assenza di questa azione fluidificante perché la pillola non viene più assunta, il rischio di coaguli aumenta.
«Speriamo che la nostra ricerca- concludono i cardiologi - possa aiutare i medici, il personale sanitario e i pazienti a prendere decisioni informate sull’opportunità o meno di interrompere l’assunzione di aspirina».