Quel dolore alle gambe che toglie il sonno ai diabetici

Diabete

Quel dolore alle gambe che toglie il sonno ai diabetici

di redazione
Potrebbe essere un prodotto di scarto del metabolismo degli zuccheri a causare la neuropatia diabetica. Nuove prospettive di trattamento

Almeno un diabetico su tre, tra quelli che hanno la malattia da più di quindici anni, sa bene che cos’è. Quel dolore che, senza una causa apparente, colpisce prevalentemente gli arti e alla lunga compromette la qualità di vita e, nei casi estremi, l’autonomia del malato. Per i medici rientra sotto l’ampia etichetta di neuropatia diabetica, a cui, paradossalmente, fa capo anche il suo opposto, cioè la perdita di sensibilità che può portare allo sviluppo di ulcere di cui il malato talvolta non si accorge. 

Ora, due studi pubblicati quasi contemporaneamente aggiungono tasselli importanti al puzzle che descrive la patologia. 

Nel primo, pubblicato sul Journal of Neuroscience, ricercatori della Yale University hanno scoperto che i cambiamenti strutturali che avvengono nelle persone affette da diabete riguardano una particolare porzione delle cellule nervose: le spine dendritiche, microscopici “bottoni” che si trovano sulle ramificazioni terminali dei nervi. Inoltre, «abbiamo identificato una molecola in grado, da sola, di controllare i cambiamenti delle spine e speriamo di poter sviluppare un approccio terapeutico che, colpendo questa molecola, riduca il dolore diabetico», ha spiegato il coordinatore dello studio Stephen G. Waxman che tuttavia non nega il fatto che la causa prima della neuropatia diabetica rimanga un mistero.

MISTERO SVELATO? - Sull’origine di questo dolore i ricercatori impazziscono da decenni cercando di capire in che modo l’incapacità di controllare i livelli di zucchero nel sangue tipica del diabete si traduca in quel danno ai nervi che produce il dolore. È nella comprensione di questi meccanismi che si nasconde infatti la possibilità di mettere a punto farmaci che agiscano direttamente all’origine del problema e non attenuino soltanto i sintomi. 

Una risposta potrebbe essere arrivata dagli autori del secondo studio, pubblicato su Nature Medicine, che sembrano aver dato un nome a quello che sembra il principale responsabile del disturbo.

Si chiama metilgliossale e non è la prima volta che finisce sotto i riflettori della ricerca diabetologica. 

Già qualche anno fa era stato segnalato come corresponsabile della retinopatia diabetica. E, poco più tardi, era stato implicato nell’aumento del rischio della formazione di placche aterosclerotiche nei pazienti diabetici.

Il metilgliossale è uno dei prodotti del metabolismo del glucosio ed è presente in quantità più alte del normale nei pazienti diabetici, dal momento che - specie quando la malattia non è ben controllata - i malati hanno elevate quantità di zucchero del sangue. 

Proprio la quantità sembra un elemento determinante: dallo studio è emerso che il dolore insorge soltanto se si supera una certa soglia di metilgliossale circolante nel sangue. Se la concentrazione è troppo alta, la sostanza «sembra attaccare e modificare una proteina chiave sulle terminazioni nervose definita NAV1.8. Ciò rende i nervi ipersensibili al dolore e alle temperature estreme. Per questo i diabetici tipicamente sviluppano un’elevatissima sensibilità al caldo e a freddo, accompagnata da intenso dolore», ha spiegato uno degli autori dello studio, Paul Thornalley della Warwick Medical School di Coventry, nel Regno Unito, che da trent’anni studia il metilgliossale. 

SPAZZINI MOLECOLARI - I ricercatori hanno però fatto un passo in più. «Questa ricerca mostra che usando piccole molecole per raccattare la sostanza che causa il problema è possibile ridurre il dolore e questa scoperta apre la strada a nuove possibilità di sviluppo di nuovi trattamenti per aiutare i diabetici». 

È l’ipotesi che stanno percorrendo alla Warwick Medical School dove stanno già studiando l’efficacia a questo scopo di un particolare enzima (la gliossalasi I) naturalmente presente nell’organismo.

Al momento si tratta di un’ipotesi di lavoro. Ma i risultati concreti sembrano un passo più vicini.