No, chi fa la radioterapia non diventa radioattivo. E può anche mangiare, lavorare e fare sesso

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No, chi fa la radioterapia non diventa radioattivo. E può anche mangiare, lavorare e fare sesso

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Immagine: Noa holzmann, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
di redazione
Solo il 38% degli italiani sa che la radioterapia non lascia traccia di radioattività. Meno della metà crede che dopo la terapia si possa mangiare, lavorare, guidare fare attività fisica e avere una vita sessuale

C'è chi pensa, sbagliando, che il trattamento radioterapico renda il paziente radioattivo per un certo periodo. E chi ritiene che dopo una seduta di radioterapia non si possa mangiare normalmente o continuare a lavorare.

Sono piuttosto numerosi gli italiani che dimostrano ampie lacune nella conoscenza della radioterapia, stando almeno ai risultati dell’indagine AstraRicerche per l'Associazione italiana di radiologia e oncologia clinica (Airo) presentati durante il Congresso nazionale dell'Associazione nell’ambito del Congresso congiunto delle Società scientifiche nell’area radiologica (a Milano, dal 21 al 23 giugno).

I risultati dell'indagine dicono che poco più della metà degli intervistati (50,5%) ha avuto un'esperienza diretta o indiretta con la radioterapia, chi per malattia di familiari (25%) o di amici e conoscenti (22%). Nonostante questo, però, la percezione del trattamento è poco chiara e gravata da numerosi falsi miti.

«L’identikit emerso – commenta Marco Krengli, presidente Airo - rafforza la necessità di un’informazione corretta e capillare sui benefici e sulle modalità della radioterapia che hanno subito un’incredibile evoluzione». Dunque, aggiunge, «potremo dichiararci soddisfatti quando verrà superata la percezione distorta del nostro ruolo emersa nell’indagine. Sebbene il 77% creda che il radioterapista lavori a stretto contatto con medici oncologi, solo il 41% sa che non è sempre un medico oncologo e lo identifica con un tecnico altamente specializzato».

La paura più diffusa dichiarata dagli intervistati riguarda la persistenza di radioattività nel corpo dopo il trattamento: solo poco più di un terzo (38,2%) sa che la radioterapia non lascia traccia di radioattività, mentre oltre la metà (51,8%) crede erroneamente che il trattamento possa rendere il paziente radioattivo per un certo periodo. Numerosi anche i timori riguardo alle possibili limitazioni alla vita quotidiana dovute alla radioterapia. Solo il 52,2% pensa che dopo una seduta di radioterapia si possa mangiare normalmente, mentre percentuali più basse ritengono di poter continuare a lavorare (41,5%), guidare (35,5%), fare attività fisica (32,7%) o avere una vita sessuale normale (32,6%) senza restrizioni, indipendentemente dal distretto trattato.

«Queste false credenze – avverte Antonella Ciabattoni, segretario alla Presidenza Airo, radioterapista oncologo dell’ospedale San Filippo Neri di Roma - possono causare inutile ansia e isolamento sociale per i pazienti sottoposti a radioterapia. È fondamentale educarli sul fatto che, salvo indicazioni cliniche specifiche, la radioterapia non limita significativamente la loro vita quotidiana ed eventuali modifiche alle abitudini saranno raccomandate solo se strettamente necessarie in base alla risposta individuale al trattamento. Per questo motivo è essenziale ricordare che la comunicazione, specie in una disciplina altamente tecnica come la nostra, va considerata tempo di cura».

Nonostante i timori e le lacune di conoscenza, c'è un consenso generale (81,5%) che la radioterapia moderna sia migliorata rispetto a 15-20 anni fa. I principali miglioramenti indicati includono una maggiore precisione nel trattamento dei tumori (50%) e una riduzione degli effetti collaterali (30%).

«Questi progressi sono frutto di notevoli sviluppi tecnologici – sottolinea Ciabattoni --e di una maggiore comprensione dei meccanismi alla base delle neoplasie. La tecnologia oggi permette di colpire con precisione i tumori, risparmiando al contempo i tessuti sani circostanti e riducendo così significativamente gli effetti collaterali. Lavorare su questa percezione positiva che è emersa – conclude - è cruciale per aumentare la fiducia dei pazienti nei confronti della radioterapia che può incidere anche sull'aderenza ai trattamenti».